Racconto di Yari Lepre Marrani
IV
Di fronte ai suoi occhi si apriva uno spettacolo che ormai gli era diventato monotono: le fontane della Piazza immerse in grosse vasche di acqua linda che si proiettavano lungo un elaborato di ferro bianco e sentieri e viuzze alberati da poter percorrere sotto un porticato di piante e finti arbusti. Peter aveva visto quell’immagine centinaia di volte e aveva visto ancora più volte coppiette di fidanzati appassionati baciarsi e limonare sui bordi delle vasche o studenti riposarsi nell’ora di pranzo.
Mentre camminava spedito verso l’entrata dell’edificio U6 guardando tutti i giovani che lo circondavano ma con i quali sembrava esserci un’invisibile pellicola che li divideva in modo inesorabile, controllò il sacchetto e si assicurò che la ferrea tanica di benzina non avesse avuto perdite o si fosse ammaccata. Dopo questo, Peter entrò in Università. La folla che c’era lo sconcertava, lo turbava: decine di persone che stavano iniziando la propria giornata accademica, che uscivano e entravano dall’edifico con una tale rapidità ed energia da sfiancarlo quasi al solo contatto visivo. C’era chi fumava agli ingressi, chi ripassava, chi correva a lezione, chi parlava con gli amici e chi pensava ma nessuno notò la presenza anonima ma così parossistica di Peter.
Il ragazzo si confuse tra la folla senza lasciare alcuna traccia di sé, come del resto era sempre avvenuto; nemmeno le guardie notarono la sua entrata in ateneo nonostante Peter fosse un uomo molto depresso e la sua faccia poteva tradire delle emozioni raggelanti. Pur tuttavia Peter, nel pieno della sua tremenda solitudine, nel vortice di quell’abisso che lo aveva portato a quella fatale decisione, cercava di non tradirsi: dentro fremeva dal desiderio di dare fuoco a tutto ma esternamente provava a non dare l’impressione di un folle piromane o alterato psichico che stava per creare tante e così grandi sofferenze. L’uomo cercò di vedere se incontrava qualcuno di conosciuto, qualche studente o docente che potesse fargli miracolosamente cambiare idea con una buona parola ma non fu così. Nessuno sembrava notarlo tra la folla, nessuno si era accorto di lui e le sue dita, mentre premevano sul sacchetto con la tanica, tremavano.
L’uomo salì le scale mobili e si recò al primo piano, fece una rapida panoramica quindi corse velocemente nell’edificio dove aveva deciso di iniziare la sua opera, l’U7, ubicato di fronte all’ U6. Peter parlava raramente con altri esseri umani, raramente si confrontava ma adesso, quasi a delirante suggello delle sue ultime ore, volle incontrare il suo professore preferito, tale Professore Scandia, l’unico che gli aveva dato un po’ di corda. E così andò frettolosamente a trovarlo. Scandia era un uomo sui 56 anni, non bello, non affascinante ma con un forte interesse per la sua materia ed una forte volontà di affermare se stesso nel mondo universitario.
Scandia lo aveva conosciuto in occasione di un incontro a due che Peter aveva richiesto alcuni mesi prima. Sebbene Peter non avesse mostrato un grande interesse per la materia del docente, psicologia sociale, Scandia provava un sentimento molto simile alla simpatia per quel ragazzo, un sentimento che lo spingeva a parlare con lui e ad accettarlo dandogli quel senso di appartenenza che Peter raramente aveva. Vide il giovane studente attraversare l’atrio della Facoltà e farsi avanti verso di lui con quello strano grosso shopper nero in mano il cui contenuto era stato dal giovane reso invisibile agli sguardi altrui grazie al colore stesso del sacchetto. Il ragazzo era uscito da casa anche con un grosso zaino sulle spalle in cui conservava fiammiferi e accendini.
Il professore lo vide solo come sempre, con addosso una terribile agitazione interiore che Scandia notò dal tono di voce concitato ma al tempo stesso rallentato che Peter aveva; una strana contraddizione. “Buongiorno, come sta?” gli chiese Scandia con una punta di sufficienza. Peter rispose che stava bene, gli chiese anche lui come stava e parlarono per alcuni minuti di inutili amenità: il tempo, gli esami, la laurea. Peter aveva in volto i chiari segni dell’angoscia ma Scandia, che stava bevendo un caffè alle macchinette, non volle approfondire, non volle entrare nel privato del giovane uomo, era freddo, trattenuto, doveva a breve iniziare il suo corso. “Quando darà il mio esame?” chiese Scandia mentre girava il suo caffè con il bastoncino, “Presto, prestissimo. La sua materia è molto stimolante, davvero, per chi come me ama le materie di psicologia” “Mi fa piacere, allora ci vedremo all’appello”.
Peter guardò l’orologio e disse “Adesso devo scappare, professore, ci vediamo domani a lezione, come sempre” ben sapendo che mentiva spudoratamente perché il giorno seguente, per lui e molti altri racchiusi tra quelle ampie mura, non ci sarebbe mai stato. Scandia lo salutò e lo guardò allontanarsi e perdersi tra i rumori della gente dell’università. Peter pensò che forse era stato un errore perdere tempo prezioso a fermarsi a parlare con quel tipo, poteva rischiare di distrarsi e per lui, ormai, il dado era tratto: doveva andare fino in fondo. Girò a lungo per i corridoi dell’ Università Bicocca, andò al bar, prese un cappuccio che trangugiò con voracità, andò in bagno, si bagnò quattro volte la faccia con acqua fresca, girò per alcuni minuti attorno alle aule dell’U7, pensava, tremava, ansimava ed arrivò al dunque: mentre ricordava il suo vecchio amore, Laura, decise che era arrivato il momento di fare fuoco e fiamme.