Racconto di Yari Lepre Marrani
III
Peter guardava fuori, fermata dopo fermata, da piazza Abbiategrasso sino al centro. Scese solamente per completare la bisognoa all’altezza di un piccolo distributore di benzina Q8. Anche quando il ragazzo si rivolse al benzinaio anonimo questo ne notò fugacemente il disagio esteriore che non traspariva dai suoi vestiti, dai movimenti o dal contegno complessivo del giovane bensì dai suoi occhi vitrei, duri e assonnati.
Peter riuscì a riempire la sua media tanica con i suoi tre litri di benzina per poi ritornare sul tram 15 verso il centro. La tanica piena di benzina era sigillata dentro un sacchetto di medie dimensioni e Peter proseguì, sempre sul 15, sino al Duomo di Milano quindi cambiò linea e prese la metropolitana sino alla fermata dove avrebbe incrociato il tram 4. Giunto in viale Zara, estrasse il pacchetto di fiammiferi e vide che era pieno. Stava arrivando speditamente verso l’Università ove avrebbe potuto laurearsi a breve se il destino racchiuso nella sua mente gliel’avesse permesso ma Peter voleva opporsi al destino. Aveva con sé ventitré fiammiferi e un accendino nuovo. Peter ripose il suo piccolo arsenale nelle numerose tasche del giubbotto e si asciugò la fronte madida.
Aveva un po’ di influenza in quel periodo ma non stava assumendo alcun tipo di terapia. Mentre il tram, che stava seguendo il gran numero di fermate che ancora separavano il ragazzo dal campus dell’Università, ad un tratto entrava verso viale Sarca e nel grosso complesso residenziale per studenti ove era ubicata la sua facoltà, in cui ogni giorno centinaia di ragazzi si recavano a seguire le lezioni e a sostenere gli esami universitari, Peter pensò per un istante ad una ragazza con cui aveva avuto una breve relazione alcuni anni prima. Si chiamava Laura Riche e frequentava il suo stesso corso di laurea.
Pensò a lei che non vedeva da due anni. Il suo unico amore e la sua unica vera amicizia coltivata tra l’universo dell’altro sesso. Forse, in quegli attimi così cruciali per sé e per decine di altri giovani e professori, con i quali Peter non poteva certo dire di avere avuto un qualche rapporto né umano né accademico, il ricordo di quell’unica amata gli strappò un lieve sorriso che illuminò per un solo istante quel suo volto segnato dai fantasmi del dramma piscologico e della disperazione. Alla Milano – Bicocca c’era una folla di manifestanti che sbraitava con in mano fasce e cartelli. Peter scese dal tram, fece alcuni passi, non diede importanza a quella manifestazione e proseguì per la sua strada. In giro c’erano studenti e belle ragazze, giovani attraenti e lavoratori che si recavano in banca e negli uffici della zona.
Peter aveva avuto in quei mesi dei lavori saltuari ma non riuscì mai a guadagnare abbastanza per potersi mantenere da solo. Mentre guardava la gente che gli tagliava la strada ebbe uno dei suoi soliti soprassalti di tristezza, forse dovuti alla percezione che il suo gesto sarebbe costato caro a molte persone innocenti. Ma chi era veramente innocente nell’universo che lo circondava da anni? Questo pensiero lo turbava e lo incuriosiva, perché per lui, di persone realmente innocenti al mondo non ce n’erano né tanto meno c’erano agnelli immacolati e puri: se lui era ridotto in quello stato era anche dovuto alla mancanza di persone dolci in questo mondo, e fu questa ferrea consapevolezza interiore che gli fece perseguire il suo obbiettivo distruttivo senza più guardarsi attorno. Senza più remore, titubanze o sensi di colpa.
Aveva già percorso molta strada quando di fronte ad un bar che aveva aperto da poco, decise di prendersi una breve pausa dalla sua camminata verso la morte ed entrò per ordinare un bicchiere di whisky con ghiaccio. “Affondare nell’alcool le mie ultime insicurezze” ecco cosa pensava. Affondare nell’alcool i suoi ultimi residui di umanità nello stesso modo in cui aveva fatto per il resto durante tutta la sua della sua vita. “Dammi un bicchiere di Jack Daniels ghiacciato!” disse al barista. In quel locale era seduto un nutrito numero di ragazzi e ragazze, alcuni erano compagni di Peter, altri giovani che lui non conosceva e non aveva mai visto.
La differenza fondamentale tra lui e quegli altri ragazzi era estetica: Peter era trasandato, barbonesco e l’alcool che beveva di prima mattina non poteva certo migliorare il suo stato. La maggior parte dei suoi colleghi universitari era solare, ricca di vita e di qualche speranza pur dati i tempi; comunque proiettata verso un qualche futuro lavorativo e sentimentale. Il contrario di Peter. Lontano anni luce da loro e dal loro mondo, e l’immagine che il giovane dava anche ai suoi compagni di corso era sporca, disagiata e negativa, per non dir nefasta. Mentre si scolava il suo bicchiere di whisky, alcune ragazze che lo conoscevano di vista e sprigionavano energia psichica e sessuale da ogni poro, lo guardarono malamente, con occhi torvi e compassionevoli: non avevano mai visto un loro collega bere in quel modo al mattino, a digiuno per giunta.
Ma Peter non ci fece caso. In fondo bere era per lui un modo per prepararsi meglio al gesto da compiere, ed era un modo per rendere questa attesa meno dolorosa visto che i pensieri del proprio padre lo tormentavano e lo tormentavano non di meno dei pensieri su sua madre e sul loro splendido rapporto interrotto dalla malattia che l’aveva portata via in un modo tanto brusco e violento da non avergli lasciato, da allora, neanche un alito di speranza e di vitalità in corpo. Uscì dal bar preda della vergogna ma si riprese subito e arrivò fino all’ostello degli studenti sito di fronte all’edificio U6, in Piazza dell’Ateneo Nuovo.
Aveva cercato di ottenere in passato un alloggio in quel posto, un alloggio che lo facesse vivere a contatto con la realtà quotidiana dei giovani universitari, un posto ove poter condividere con altri il mondo accademico ma i soldi in casa erano pochi e Peter non poteva permetterselo.