“Mette in pericolo tutte le democrazie. L’Israele per prima ma voi sarete i prossimi”. Così Benjamin Netanyahu mentre attaccava Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), che ha recentemente fatto richiesta di spiccare mandati di arresto del primo ministro di Israele e il ministro della difesa Yoav Gallant. Khan ha fatto la stessa richiesta nel caso dei tre leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohamed Deif e Ismael Haniyeh.
Questi cinque individui sono accusati di crimini orrendi contro l’umanità. Nel caso dei due leader israeliani si tratta di avere causato “stermini e morte di fame con metodi di guerra incluso il diniego di rifornimenti umanitari e attacchi deliberati a civili nel conflitto” di Gaza. Nel caso dei tre leader di Hamas si tratta di avere trucidato 1200 persone e aver preso 250 ostaggi. Alcuni di questi sono stati liberati con negoziati ma altri sono morti e altri rimangono ancora nelle mani di Hamas.
Il primo ministro israeliano ha cercato di assolvere tutte le democrazie da possibili sanzioni della Cpi. Netanyahu non ha digerito il fatto che lui sia stato messo allo stesso livello dei “terroristi” di Hamas, dimenticando che i leader di Gaza furono anche loro eletti democraticamente nel 2006. La richiesta di mandati di arresto dovrà essere approvata da un panel di tre giudici la cui decisione dovrebbe avvenire tra due o tre mesi. Si tratterebbe di un grosso problema per Netanyahu poiché in caso di approvazione potrebbe essere arrestato se mettesse piede in uno dei 128 Paesi che hanno firmato il Trattato di Roma eccetto per Israele, Stati Uniti e Russia. La Gran Bretagna e la Germania, due grandi alleati di Israele, hanno anche firmato l’accordo e si potrebbero trovare nell’imbarazzante situazione di dover arrestare il primo ministro israeliano qualora mettesse piede nei loro Paesi.
Netanyahu ha cercato anche di schivare l’annuncio di Khan con il suo tentativo di coinvolgere i suoi più grandi alleati come gli Usa che in un certo senso condividono una buona dose di responsabilità. Va ricordato che la stragrande maggioranza delle armi di Israele sono infatti fornite dal Paese a strisce e stelle. Biden ha implicitamente riconosciuto una dose di responsabilità per le eccessive morti di civili quando alcune settimane fa ha sospeso l’invio di bombe da 225 a 900 chilogrammi a Israele per le eccessive morti di civili palestinesi.
Gli americani da parte loro hanno fatto quadrato intorno a Netanyahu, accettando la sua tesi che non c’è equivalenza tra Israele e Hamas. Il presidente americano Joe Biden ha dichiarato l’annuncio di Khan “vergognoso” aggiungendo che gli Stati Uniti “sosterranno sempre l’Israele” contro tutti i pericoli alla sua sicurezza. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato di “rifiutare l’equivalenza tra Hamas e Israele”. Ha caratterizzato la mossa inappropriata di Khan notando che Hamas “è un’organizzazione brutale” responsabile di aver “massacrato cittadini israeliani, preso ostaggi, incluso americani”. Anche la Gran Bretagna ha condannato l’annuncio di Khan. Il primo ministro Rishi Sunak ha reiterato che non esiste “un’equivalenza morale fra un Paese democratico che si difende legalmente dal gruppo terroristico di Hamas”.
La difesa di Israele è anche stata presa dai repubblicani in America i quali spesso sono in disaccordo con l’attuale inquilino alla Casa Bianca. Mike Johnson, lo speaker della Camera, ha attaccato l’annuncio della Cpi suggerendo che leader statunitensi potrebbero subire la stessa sorte di Netanyahu. Johnson ha anche dichiarato che la Camera statunitense esplorerà “tutte le vie, incluso sanzioni, per punire la Cpi”, ripetendo l’asserzione di Netanyahu che anche leader americani correrebbero lo stesso pericolo.
Questa paura di attirare l’attenzione della Cpi era già stata preoccupante sia per Israele che gli Stati Uniti anche prima dell’annuncio di Khan. Nel mese di aprile del corrente anno il senatore repubblicano dell’Arkansas Tom Cotton mandò una lettera a Khan asserendo che l’incriminazione di leader israeliani sarebbe “illegittima e senza basi legali” poiché l’Israele e gli Stati Uniti sono fuori dalla “giurisdizione” della Cpi. Cotton ha persino minacciato la Cpi che un mandato di arresto di Netanyahu “equivarrebbe a una minaccia alla sovranità di Israele e alla sovranità degli Stati Uniti”. Khan ha giustamente risposto per le rime a Cotton citando che l’articolo 70 dello Statuto di Roma considera seriamente “minacce” contro la Cpi e il suo personale.
La paura di Cotton e altri leader americani della Cpi era da tempo in considerazione da Netanyahu. Il giornale inglese The Guardian ha riportato che l’ex leader degli agenti segreti di Israele aveva cercato di intimidire Fatou Bensouda, predecessore nell’incarico attuale di Khan, nel 2015. Bensouda aveva già a quei tempi aperto un’indagine su possibili crimini di guerra da parte di Israele commessi contro l’umanità nei territori palestinesi.
Le preoccupazioni di Netanyahu dunque esistono da parecchio tempo e considerando anche i guai legali dentro il suo Paese si capisce chiaramente la sua reazione e la sua ricerca di trovare alleati per non fare la fine di Putin che deve stare attento in quali Paese viaggerà. Netanyahu però deve anche fare attenzione alla giustizia israeliana che come Paese democratico segue leggi che possono anche colpire ex governanti. Ne sa qualcosa Donald Trump il cui primo processo criminale si è appena concluso e si attende il verdetto.
La preoccupazione principale per Netanyahu dovrebbe essere però la sconfitta nell’opinione pubblica mondiale. Dopo gli eventi del 7 ottobre scorso e l’aspra reazione di Israele a Gaza Netanyahu ha perso il supporto del mondo. Lo ha riconosciuto anche un americano di religione ebraica, Bernie Sanders, leader quasi indiscusso dell’ala sinistra del Partito Democratico americano. Il senatore del Vermont ha recentemente dichiarato che il procuratore della Cpi ha ragione di avere “intrapreso queste azioni”. Secondo Sanders, il possibile mandato di arresto annunciato da Khan forse non verrà messo in pratica ma senza “queste misure di decenza e moralità” il pianeta sprofonderebbe nell’anarchia e guerre infinite.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.