di Angela Casilli
Quanto accaduto alla vigilia del 25 aprile u.s., festa della Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo, a seguito della censura della Rai al monologo dello scrittore Antonio Scurati, più volte premiato per i suoi libri su Mussolini e il fascismo, ma questa volta anche duramente contestato, ripropone l’eterno dilemma tra fascismo e antifascismo. Il tema è sempre attuale e dimostra come il fascismo non sia morto dopo il crollo del 1945, ma anzi goda di buona salute e si candidi, non solo qui da noi, ad essere il protagonista di una nuova stagione politica.
Nel secondo dopoguerra, grazie anche alla complicità di larghi settori del giornalismo e dell’editoria, si è cercato, direi con successo, di costruire un’immagine e una memoria tutt’altro che negativa del fascismo, cercando di giustificare, s’intende nei limiti del possibile, gli errori del ventennio che vanno dall’assassinio di Matteotti, di cui ricorre il centenario, alla leggi razziali, all’entrata in guerra.
La storia, prima del movimento fascista, poi del partito fascista e infine del regime fascista, non è molto lineare come si potrebbe essere portati a credere, perché all’inizio il movimento non è né di destra né di sinistra, nel senso che se da un lato la natura totalitaria si percepisce già dalle origini, dall’altro l’asservimento nei confronti della grande borghesia, in rivolta perché frustrata nelle sue aspettative sociali e delusa dall’esito della guerra, che le aveva sottratto uomini e mezzi economici, porterà alla svolta antiborghese del fascismo e al fallimento dei tentativi della Massoneria di inserirsi nei progetti di crescita del movimento fascista, tentativi stroncati sul nascere.
La natura totalitaria metterà al centro dell’azione politica il tema dell’ ”italianità “ fin dall’inizio degli anni 30, per poi tradursi nella guerra italo-etiopica del 1935-36 e in un anticipo delle leggi razziali con le popolazioni coloniali come prime vittime. Il doppio tratto originario, né di destra né di sinistra da una parte, l’antiborghesia dall’altra, non andrà mai perduto definitivamente, anzi sarà presente nel linguaggio, nell’ideologia che accompagnerà il programma delle bonifiche, poi attuate nei primi anni ’30 e, successivamente, nel biennio di Salò.
Nell’immediato dopoguerra, il Movimento Sociale per la sua natura “militante”, apparve come erede naturale e fedele della tradizione fascista, molto meno lo saranno Alleanza Nazionale, dopo la svolta di Fiuggi e Fratelli d’Italia, a causa delle trasformazioni culturali e politiche della destra, che spiegano il successo di oggi.
La crisi dello Stato sociale negli anni settanta, ha fatto si che molti dei temi cari alla destra, come quello di “nazione”, o quello di “comunità di appartenenza”, circolino con gran favore nell’immaginario collettivo, esercitando un richiamo egemonico testimoniato dal passaggio a destra di larghe fasce di elettorato precedentemente di sinistra, nonché di esponenti del mondo del lavoro.
Confrontarsi con il fascismo, con i suoi simboli, le immagini del ventennio, e con il fascino tutt’altro marginale che ancora esercita, vuol dire cercare di capire la forza dei miti, che non vuole significare “ritorno al passato“ ma fare i conti con la debolezza delle culture di oggi che si propongono come argine o contenimento di quei “miti”.
Il fascismo fu un fenomeno specifico del nostro Paese, esito non scontato delle degenerazioni clientelari e trasformistiche del nostro sistema politico e sociale, purtroppo tuttora presenti, espressione di un capitalismo debole e di una borghesia mortificata nella speranza di tempi migliori; esito tragico perché produsse un regime di violenza, di disprezzo della libertà, che porterà l’Italia alla rovina.
I conti con il fascismo non si sono chiusi, restano tuttora aperti perché l’abiura non c’è stata e mai ci sarà, specie oggi con il ritorno prepotente, in più di un paese europeo, di regimi sovranisti e populisti.