Eccolo qua, un libricino che avevo letto tanto tempo fa e che poi avevo riposto negli scaffali della mia biblioteca, la cucina dei monasteri di Sebastiana Papa dove al modello culturale barbarico, ricco e esagerato si contrapponeva quello religioso costituito dall’idea della privazione alimentare
La cucina dei monasteri è un viaggio affascinante, che porta a fantasticare di intrugli e alchimie nascoste, accostamenti e sviluppo delle pietanze e dell’arte cibaria, scava nei meandri più nascosti dell’arte gastronomica fatta cibo
Senza gas, abbattitori, forni a convenzione, frigoriferi, affettatrice, mixer, stendi pasta, impastatrice, sottovuoto, sifone, scavini, pela verdure.
Si respira aria mistica in ogni ricetta, precursori dello slogan dalla terra alla tavola dove i monaci hanno insegnato l’arte della coltivazione e della trasformazione in cibo di prodotti della terra arrivati da ovunque.
Nonostante il rapporto dei monaci con il cibo è sempre stato sottoposto ad un rigido regolamento ed enormemente caricato dei valori simbolici cristiani e il convento diventa il luogo dove il piacere alimentare viene declassato in subordine alla convinzione che ogni ricerca di perfezione spirituale dovesse passare attraverso una stretta disciplina alimentare, istituzionalmente ridotto al minimo il cibarsi diventava negazione per mortificare il corpo ed innalzare lo spirito, anche se illuminati monaci ricordavano che il signore pretendeva la misericordia e non il sacrificio.
Cosi tramanda un memoriale scritto l’1 agosto 1246” Legenda Trium Sociorumm” cosi racconta ” avvenne che una notte dormendo li frati, gridò forte uno delli frati e disse: Io muoio di fame. Et Levandosi il beato Francesco subito fè porre la mensa, et come huomo di charità et discrezione mangiò con lui, acciocchè lui non si vergognasse mangiar solo, et di sua volontà. Et etiandio tutti gli altri mangiarono. Et poiché hebbero mangiato, disse il beato Francesco ai frati: Frati miei, cosi dico a voi, che ciascuno consideri sua natura et dia al suo corpo la necessità sua acciocchè possa servire allo spirito: perciochè dal soperchio mangiare, che ne noce al corpo et all’anima, noi siamo tenuti a guardare; cosi etiandio dalla soperchia astinentia; perciochè il Signore vuole la misericordia et non il sacrificio”.
Nonostante tutto questo per interi secoli i monasteri sono stati l’unico luogo di scambio di informazioni, di contatto tra classi aristocratiche e popolari, anche perché basta andare a guardare da quali famiglie erano estrazioni gli abati e le badesse.
Provenivano esclusivamente da famiglie aristocratiche, colte che varie vicissitudini o reali convinzioni religiose guidavano, non solo spiritualmente i semplici frati e le semplici monache la cui estrazione era popolare.
Proprio in questi luoghi dove l’innalzamento dello spirito attraverso i digiuni, sovrasta il piacere del cibo che dona al corpo, sono stati trascritti e codificati innumerevoli manuali di cucina.
Grazie al rapporto che per forza di cose si doveva instaurare tra religiosi e popolani, tra coloro che lavoravano nelle abbazie e nei monasteri e coloro che li conducevano, nei ceti popolari inizia a farsi strada la cultura del cibo e delle ricette.
Cosi si spiega la diffusione tra i ceti più popolari e poco inclini alla lavorazione delle pietanze, di complessi piatti dei giorni di festa, erano proprio frati e monache a fornire loro le ricette migliori, risulta vero anche l’incontrario che i monaci colti e svelti di penna e calamaio scrivevano le semplici ricette che i contadini, i popolani facevano con i loro prodotti.
La ricchezza di ricettari monastici si riempie anche di scambio di informazioni tra conventi stessi, dove molte lettere ritrovate negli archivi, ed il libro di Sebastiana Papa ne è un valido conduttore, testimoniano che soprattutto in occasioni importanti di visite di alti esponenti del clero erano stati molto apprezzati certi piatti dei quali veniva richiesta la ricetta.
Non diventa illazione l’affermare che nel mondo monastico vi era un’attenzione culturalmente alta del cibo, al reperimento delle risorse alimentari attraverso un’oculata organizzazione e gestione del sistema di reperibilità delle materie prime, del loro approvvigionamento anche perché il principio della privazione presuppone la disponibilità dei beni di cui privarsi e all’interno delle cucine del convento la carne ed altri prodotti non mancavano mai perché gli ospiti ed i pellegrini erano esonerati dalle diete e dai digiuni imposti dai regolamenti ecclesiali.
Parecchi di questi motivi ci inducono a credere anzi ad affermare che la cucina dei cibi, il bon ton e la relativa educazione a tavola hanno avuto origine tra le mura dei monasteri e delle abbazie.
RICETTE
Capretto con la cipolla “ramata”
ingredienti
2 kg di capretto
500 gr di cipolla “ramata”(color rame”
4 foglie di alloro
4 rametti di rosmarino
4 spicchi d’aglio
1 ciuffo di prezzemolo tritato
50 cc di olio extra vergine di oliva
sale q.b.
preparazione
Tagliare a pezzi grossolani il capretto. Togliere la prima pellicina alle cipolle e metterle in acqua fredda . In una capiente padella versare l’olio far riscaldare e aggiungere la carne, far rosolare a fuoco vivo per qualche minuto, abbassare al minimo la fiamma, aggiungere gli aromi e il sale e far cuocere a fuoco lentissimo per circa 20 minuti. Quindi aggiungere le cipolle tagliate a fette sottilissime continuare la cottura per altri 15 minuti fino a quando le cipolle non si riducono a crema aggiustare di sale e servire ricoprendo il capretto della salsina di cipolle e spezie..
‘Ficillatiedd ‘ con minestra di cicoria e finocchio
ingredienti
I ‘ficillatiedd’ è del pane non lievitato che si fa impastando la farina con le uova e poca acqua; ottenuto l’impasto si fa riposare per circa 40 minuti quindi si versa su una teglia oleata , si spennella sopra un rosso d’uovo e si inforna fino a quando non diventa dorato. Un altro metodo per vedere la cottura è nell’inserire uno stecchino nell’impasto , se esce asciutto vuol dire che il ‘ficillatiedd’ è pronto. Nel frattempo preparate la minestra di cicoria e finocchietto 2 cespi di cicoria 1 mazzo di finocchietto selvatico 50 gr di pecorino grattugiato Olio extra vergine Sale qb Mondare la cicoria e il finocchietto, lavarli bene. In una padella capiente versare le verdure e far cuocere. A cottura ultimata cospargere di pecorino grattugiato e mangiare assieme al ‘ficillatiedd’.
PIZZA CON LA RICOTTA
Ingredienti per la pasta:
600 gr. di farina
2 cucchiai di strutto
20 gr. di lievito di birra,
sale.
Ingredienti per il ripieno
500 gr. di ricotta di pecora o mista
2 uova,
100 gr. di zucchero
chiodi di garofano
cannella.
procedimento
Impastate la farina con lo strutto, il sale e il lievito sciolto in acqua calda. Fate lievitare in luogo caldo per circa un’ora Mettete in una ciotola la ricotta, le uova, lo zucchero, i chiodi di garofano macinati finemente e la cannella in polvere e fate un impasto. Della pasta lievitata verrà steso uno strato in una teglia, sopra mettete l’impasto di ricotta che a sua volta verrà ricoperto da un altro strato di pasta. Unite sui bordi i due strati di pasta, praticando con una forchetta dei fori sulla sfoglia superiore e mettete nel forno a 180°.
SCARTEDDATE
Ingredienti: 500 gr. di farina di grano tenero
4 uova
un pizzico di sale
2 cucchiai di zucchero
2 bicchieri di vino bianco secco
2 cucchiai di olio extra vergine
2 cucchiai di miele (o vino cotto).
procedimento
Impastate la farina con le uova, il vino bianco, sale, zucchero ed un pò d’acqua, in modo da ottenere un impasto ben elastico, che lascerete riposare un 15 minuti in un tovagliolo umido. Tirate una sfoglia e tagliatela a striscioline con la rotella dentata; avvolgetela a nodi o a papillon o come meglio vi piaccia e friggete in abbondante olio. Dopo la cottura cospargetele di miele o di vino cotto.