Sarà un 25 aprile diverso dagli altri anni, senza cortei e senza commemorazioni in piazza, per la prima volta nella storia della Repubblica.

La notizia ovviamente non stupisce perché siamo ancora immersi nelle misure di contenimento dell’epidemia e sarebbe stato impensabile rievocare in modo tradizionale la festa della Liberazione; ma è comprensibile anche il disorientamento che questo vuoto, questa distanza fisica gli uni dagli altri, può produrre in ognuno di noi.

Anche le comunità nazionali, benché laiche, hanno i loro riti che simbolizzano e rendono visibili i valori che sono a fondamento della nostra convivenza. Il 25 aprile è in questo senso più importante di altre ricorrenze laiche paradossalmente proprio per il suo carattere al tempo stesso unitario e divisivo: è una festa per la democrazia, la libertà e l’indipendenza nazionale, ma è anche una festa contro il fascismo, contro la dittatura, contro la guerra. Il campo è largo, comprende virtualmente tutti gli italiani, cioè include tutte le persone, ma fascismo, razzismo e militarismo non ne fanno parte. È anche questo il motivo, per cui movimenti e forze nate a distanza di 40 o 50 anni dalla Resistenza, possono (e in un certo senso devono) aderire a questi valori democratici che però non sono nel loro codice genetico, come avveniva per i partiti che avevano costituito, in quel difficile 1943, il Comitato di liberazione nazionale.

Il 25 aprile non è banale, perché la generazione dei partigiani ci sta lasciando e i loro valori, che sembrano acquisiti, possono evaporare e noi rischiamo di perderli: oggi più di ieri bisogna sceglierli. Forse in base a considerazioni simili, è stata accolta la richiesta di una partecipazione fisica, sia pur simbolica e nei limiti delle misure di prevenzione, da parte delle associazioni partigiane e combattenti alle cerimonie davanti alle lapidi e ai monumenti ai caduti, a fianco delle autorità che deporranno i fiori. Non ci sarà nessun’altro, se non collegato in modo virtuale, ma in questo modo le piazze sembreranno meno vuote.

Sono segnali di una piccola vigilanza, di chi crede che le conquiste si mantengono se concretamente le persone le presidiano e le difendono. Se il 25 aprile comprende tutto, finisce con l’evaporare; se invece espelle dalla comunità nazionale non le persone ma disvalori dell’oppressione e della guerra di aggressione, rimane un riferimento vivo anche per le generazioni successive. Il 25 aprile verrà dunque onorato, nei limiti della situazione attuale. Senza cortei e senza bandiere, un 25 aprile diverso: il programma del 75° anniversario della Liberazione è però ricco di eventi virtuali. Attraverso la rete, saranno diffuse le testimonianze dei protagonisti, l’omaggio delle istituzioni al loro sacrificio, le immagini, le parole, le musiche della nostra Liberazione.

Nel momento centrale della celebrazione, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia invita tutti a cantare Bella ciao in un coro diffuso; qualcuno ha obiettato anche su questo, ipotizzando un altro repertorio. Come spesso ci ricordano gli esperti, questa canzone non fu una delle più cantate durante la Resistenza, ma ne è diventata nel dopoguerra un po’ il simbolo, proprio perché non esaltava le differenze che pure erano esistite fra le diverse componenti della Resistenza.

Per il suo carattere popolare e non legato a un partito, dovrebbe dunque ricordare a tutti, in questo difficile momento per la comunità nazionale, l’impegno di quelle ragazze e di quei ragazzi, la maggior parte giovanissimi, innamorati del futuro, che hanno contribuito a costruire sulla base della libertà e della democrazia.

Marcario Giacomo

Editorialista de Il Corriere Nazionale

http://www.corrierenazionale.net

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