Del 19 Aprile 2024 alle ore 07:48
Editoriale di Daniela Piesco co-direttore Radici
Una foto non si scatta solo con gli occhi, deve avere significato anche per il cuore e lui, Mohammed Salem, fotoreporter palestinese di Reuters è stato davvero capace di scuotere le coscienze globali ritraendo l’abbraccio di una donna palestinese al cadavere di una bambina avvolta nel sudario .
Scattata il 17 ottobre 2023 all’ospedale di Nasser di Gaza, appena dieci giorni dopo l’inizio del conflitto, la foto ritrae Inas Abu Maamar, una donna di 36 anni, con una veste azzurra, che ricorda il colore del manto della Madonna, mentre abbraccia il corpo senza vita di Saly, sua nipote, di cinque anni, coperta da un lenzuolo bianco, simbolo di innocenza e purezza, uccisa insieme alla madre e a una sorella da un missile israeliano piombato sulla loro casa di Khan Yunis.
La foto ha vinto l’edizione 2024 del World Press Photo per la straordinaria potenza di commuovere e fare riflettere al tempo stesso sull’orrore e l’inutilità del conflitto da un lato sulla necessità della pace dall’ altro riassumendo il sentimento più ampio di quello che sta successo nella Striscia di Gaza.
La Pietà di Gaza. Così è stata ribattezzata perché pur non mostrando i visi dei due soggetti ricorda, nella sua drammaticità, il capolavoro di Michelangelo.
Gaza è un rompicapo geopolitico, una tragedia umanitaria, uno scontro per la sicurezza di Israele e la distruzione di Hamas. Ma la sorte della Striscia sta mettendo tutti contro tutti, mentre la popolazione deve fare i conti con le migliaia di morti, le decine di migliaia di feriti, gli aiuti umanitari che non bastano e la cancellazione di ogni possibilità di sviluppo economico.
Scrivere e denunciare diventa essenziale, specialmente quando pochi attivisti di buona volontà gestiscono siti online e spazi editoriali liberi da odio e propaganda bellicista. La pace dovrebbe essere la nostra vita, e in queste ore si assiste a un genocidio perpetrato contro un popolo costituito principalmente da bambini e adolescenti, innocenti e inermi.
Il genocidio è responsabilità anche dei poteri forti occidentali, un crimine che graverà pesantemente in capo a chi ha ancora coscienza sulle coscienze.Qui non si tratta di prendere le parti di Hamas o Israele, ma di opporsi alla guerra e alla violenza oscurantista che minaccia la civiltà stessa.
Hamas, sospettato di infiltrazioni iraniane e collegamenti con Hezbollah, non può essere considerato amico della libertà e della pace per il popolo palestinese. Tuttavia, la risposta di Israele e dell’Occidente, alimentata da interessi economici e militari, non mira a un equilibrio, ma perpetua il ciclo di violenza, incrementando il commercio di armi mortali sofisticate per profitto e potere economico.
Ma per Israele chi si oppone alla sua retorica è considerato un “traditore” tanto è vero che le proteste spontanee contro la guerra per le vie di Tel Aviv vengono dopo pochi minuti represse dalla polizia, i manifestanti allontanati o portati in caserma, i ragazzi che si rifiutano di fare il servizio militare messi in galera e ostracizzati, ci sono poi casi di insegnanti che sono stati richiamati dalle istituzioni per aver scritto sul proprio profilo Facebook “messaggi di solidarietà verso Gaza”. Una situazione non troppo diversa da ciò che accade in Russia o in Turchia verso le voci che si sono opposte all’invasione dell’Ucraina o in solidarietà alla popolazione curda.
Forse anche chi da detrattore o da estimatore considera Israele un paese “bianco” e “avanguardia degli illuminati valori europei”, dovrebbe riflettere che il clima in Francia post-Nizza e post-Bataclan o quello negli Stati Uniti post-11 settembre non aveva assunto gli stessi toni militaristici e di promozione di un’unità così tossica e totalizzante.
A un’ottica universalista e umanista che è sempre stata parte di una cultura ebraica almeno laica e secolare, viene sostituita una prospettiva particolarista, nazionalista e soprattutto tribale, in cui non può trovare spazio il dolore dell’altro, in cui ha importanza soltanto il nostro dolore, il nostro sentire, le nostre vittime, quelle altrui sono di minore valore o in qualche modo di serie B, giustificate dalla nostra sofferenza.
Forse invece questa fotografia riapre al concetto che Il credente dovrebbe guardare al mondo con gli occhi di Dio che è Padre, giusto e misericordioso. È l’unico modo per non cadere nella logica della violenza e del rifiuto dell’altro, di cui questo ennesimo conflitto è testimone. Abbiamo bisogno, nonostante tutto ciò che sta accadendo, di credere ancora nell’Altro. Senza Dio, è impossibile.
L’articolo La pietà di Gaza è già apparso su Il Corriere Nazionale.