Del 17 Aprile 2024 alle ore 00:46

La soffitta dei libri ci porta nella storia, anni di piombo, brigate rosse, quarant’anni fa

«Io, l’infame» ed Mondadori

Patrizio Peci, il primo pentito (lo fece davanti al Generale Della Chiesa) perse Roberto, suo fratello, ucciso per ritorsione dopo 55 giorni di prigionia.

Non si tratta di uno scrittore, è una biografia nuda e cruda e per certi versi spietata nel raccontare quei fatti che misero in ginocchio una nazione, di un protagonista, che ha contribuito a smantellare il sistema, ad iniziare dalla colonna torinese che lui portò alla sbarra del tribunale andando a deporvi contro il 18 maggio 1983.

Ora Patrizio del 29 luglio 1953 ha quasi 70 anni, secondo quanto lui stesso ha dichiarato in una intervista vive e lavora come operaio fra Lombardia e Veneto, è sposato, ha un figlio, e naturalmente una diversa identità.

Per certi aspetti la regola della serie ‘Libri in soffitta’ è rispettata, perché Patrizio Peci, non c’è più.

L’altra regola è fare sintesi sul libro cercando di non cadere nella facile trappola del commento sulla storia del paese.

Quindi vediamo tutto attraverso lo sguardo del protagonista e quello che scrive.

E’ una lettura che scorre ed inquieta, e viene fuori anche un movimento, che terrorizzo per dieci anni il paese, che era una armata Brancaleone, come dice lo stesso autore in un capitolo, senza efficienza, rozzi ed impacciati che solo uno Stato spaventato e debole poteva definire forte.

In un pezzo di autobiografia esce fuori San Benedetto del Tronto, una adolescenza normalmente ribelle, troppo piccolo per il ’68, più presente in lotta continua e lontano dal PCI del compromesso storico.

L’infame è in aula, gli altri in gabbia: ” … non mi fa nessuna impressione. Sono bestie per la ferocia con la quale non vogliono riconoscere che hanno perso e continuano a propagandare morte anche se sanno che la lotta armata non ha sbocchi”.

Brigatisti povera gente. Il racconto di Peci è dissacrante, viene fuori la vita quotidiana niente affatto romantica di eroi negativi, piuttosto l’impaccio nelle azioni ed errori e tanta gratuita crudeltà.

Un brigatista era pagato come un metalmeccanico.

Il libro descrive l’organizzazione e tanti fatterelli, azzoppamenti, omicidi e dolori e tristezze.

Nel 1979 quando viene arrestato Patrizio è già in crisi, una buona parte finale del racconto descrive il suo pentimento.

Ma sa che è un destino amaro che l’attende: ” se uno passa dalla Dc al Pci o viceversa è uno che ha cambiato idea; se uno passa dalle brigate rosse allo Stato è un immondo traditore in malafade”

E’ il senso del libro, che si legge subito immergendosi in dieci anni di storia terribile, finita anche grazie ad un “infame”.

LA RETE

L’articolo Patrizio Peci – «Io, l’infame» è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.

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