Del 15 Aprile 2024 alle ore 17:46
La vicenda del Bari e il suo rovescio sportivo quest’anno evoca il triste spettacolo di una tragedia greca, dove gli eroi, pur di fronte all’evidenza degli errori fatale, continuano a precipitare verso il loro destino. Si può paragonare la situazione a quella descritta da Nietzsche in “La nascita della tragedia”, dove il conflitto tra l’apollineo, l’ordine e la logica, e il dionisiaco, l’irrazionale e l’emotivo, si svolge in modo catastrofico. Qui, il dualismo è incarnato dalle figure di Polito e De Laurentiis, ciascuno tirando la corda verso visioni diametralmente opposte, uno promettendo un anno di transizione e l’altro sognando playoff e rinnovamenti arditi.
Il ricorrente esonero degli allenatori – il terzo quest’anno, Giuseppe Iachini, che non è riuscito a invertire la rotta – è un’eco lontana del “Grande Inquisitore” di Dostoevskij, dove il libero arbitrio è messo alla prova dall’autorità oppressiva. Come Iachini, anche i personaggi di Dostoevskij affrontano la disperazione e l’inevitabilità del fallimento, nonostante la lotta per asserire la propria volontà.
La scelta sarcastica di mantenere ben sette attaccanti senza una strategia coesa è paragonabile alle opere di Kafka, dove i protagonisti si ritrovano intrappolati in labirinti burocratici e logiche assurde che sfidano ogni tentativo di soluzione razionale. Mignani, l’allenatore precedente, sembra il personaggio di una novella di Chekhov, eroicamente rassegnato al suo destino, facendo del suo meglio in una situazione destinata al fallimento. Ma ciò non è bastato a salvarlo. Appare ovvio che non avrebbe accettato un eventuale richiamo alle armi.
L’arrivo di Giampaolo, un tecnico non più giovanissimo e meno esperto dei suoi predecessori, è un gesto che ricorda le ultime battute di “Campane a morto” di Hemingway: “Ma adesso non mi sento affatto così, ora sento che abbiamo una chance.” È la speranza contro ogni speranza, un’ultima disperata resistenza contro il declino inevitabile, simile alla resilienza di quei protagonisti di Hemingway che, di fronte alla sconfitta imminente, scelgono comunque di combattere.
In sintesi, l’epopea del Bari di quest’anno si configura come una sinfonia dissonante, dove le promesse non mantenute e i fallimenti si intrecciano in un crescendo rovinoso. Sarebbe un atto finale che Wagner potrebbe avere orchestrato: tragico, ma con una risoluta accettazione del destino. Ciò che resta è l’orgoglio, forse l’unico trofeo per una squadra che, di fronte alla retrocessione, sceglie di lottare con il cuore piuttosto che arrendersi al cinismo. E poi chissà. Ma niente illusioni.
Massimo Longo
L’articolo Bari Calcio: Tra speranze illuse e orgoglio barese, la tragedia di un anno smarrito è già apparso su Il Corriere Nazionale.