Del 13 Aprile 2024 alle ore 17:45
di David Berti*
Ho sempre apprezzato e trovato estremamente significative le parole con cui Roberto Calasso apriva il suo L’innominabile attuale, scrigno denso e prezioso di considerazioni oggi attualissime: “La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell’innominabile attuale”.
Se considerassimo la lingua una colonna fondante della civiltà, potremmo definire la narrazione quintessenza dell’atto comunicativo. La persona non narra soltanto verso sé stessa; la persona narra anche al di fuori di sé. La società narra e si narra, internamente e all’infuori di sé. Fra altre cose, a contatto con le intelligenze artificiali generative, lo sviluppo e l’addestramento delle reti neurali e l’impiego di tecnologie sempre più sofisticate implica che, con una certa naturalezza, il linguaggio può evolvere e automatizzarsi; ed è qui che le narrazioni della società ci presentano flussi migratori, crisi energetiche, guerre, e i tanti altri sintomi di quelle crisi cicliche che gli ordini internazionali “prestabiliti” vivono e subiscono nel tempo.
Sulla falsariga di quell’innominabile attuale cui accennavamo, quella che oggi viviamo a livello globale è un’età delle insicurezze; un’età dell’incerto; e proprio qui risiede il ruolo della narrazione: consente di dar voce a dinamiche societali e relazionali nuove, amplificando lo scricchiolare degli equilibri sullo scacchiere internazionale, mostrando quindi uno scenario globale sempre in ampio movimento dove il micro mette in discussione il macro, apparentemente forte ma sostanzialmente fragile. Le narrazioni e le parole possono anche rappresentare il sentimento di un certo periodo storico: terminologie che in un periodo emergono con forza, sensibilizzando l’opinione pubblica internazionale su interessi e politiche ben precise potrebbero lasciare spazio – poco tempo dopo – all’uso di nuovi termini e accezioni, o praticare una revisione dei significati che alcuni termini hanno sempre ricoperto nelle epoche precedenti. Fenomeni di questo genere avvengono con sempre maggior frequenza e rispecchiano la mutevolezza di dinamiche sempre più complesse e ricche, anche alla luce del multipolarismo internazionale.
L’atto di narrare evidenzia fortemente il carattere trasformativo che le parole operano sulla nostra percezione del mondo. Un mondo che quest’epoca di innovazioni e rivoluzioni quotidiane presenta in tutta la sua plasticità; plasticità primordiale, e difficilmente accessibile, impegnativa, nella quale diventa difficile destreggiarsi fra tecnicismi, acronimi, lingue. Sono però questi gli elementi che costruiscono e plasmano una nostra weltanschauung. Visione del mondo che, nelle complessità che irrompono prepotentemente dall’innominabile attuale, svia la narrazione dal suo fine più elevato e nobile, l’informare per far sapere e far pensare, trasformandola a potenziale e ulteriore fonte di conflitto.
Eppure questa è la conveniente finestra sull’attualità; una finestra digitale, da imparare a dosare, da imparare ad “aprire”; una finestra che ci espone ad un’ampia e profonda varietà di narrazioni, prospettive, chiose e postille. Finestra che lascia a ciascuno il prezioso potere e il dovere di interpretare, valutare, comprendere, soppesare, misurare, decifrare, sintetizzare. Quali prospettive per i nostri continenti? Quali nuove dinamiche nelle imprevedibilità dell’attuale scenario internazionale?
E qui, sta l’importanza della partecipazione attiva nelle narrazioni che nel quotidiano di ciascuno ci coinvolgono direttamente e indirettamente, rifuggendo l’adesione acritica dalle visioni del mondo, che spesso non ci rappresentano; un suggerimento di base da ricordarsi di tanto in tanto potrebbe essere: “non abbiate paura di costruire la vostra narrazione del mondo, di evolverla, correggerla, distruggerla e, quanto questa narrazione del mondo non rispecchia più noi o il nostro mondo, destrutturiamola e ripensiamola!”. Nell’epoca delle insicurezze e dell’incerto, il pensare misurato e la narrazione torneranno, anche dal passato, a salvarci. E allora, per dirla scomodando giusto un po’ Dostoevskij, sono convinto che la Bellezza potrà ancora salvare il mondo…
Il più profondo e prezioso augurio che si possa auspicare a chi ha pazienza di imparare a leggere fra le righe, affinare cautamente e misuratamente le proprie intuizioni, sintetizzare e cercare di districare i “nodi narrativi”, individuali e del mondo che ci circonda, risieda nell’ascoltare, nel lasciarsi donare prospettive che ispirino al vivere e provare delle primavere dell’anima.
La speranza profondamente edificante dell’opportunità di esperire un mondo migliore non cessi mai di affiancare la nostra ricerca intellettuale; per dirla con Karl Popper – uno dei maestri che ispirano il nostro liberalismo – “una ricerca senza fine”, dove il privilegiato punto di partenza potrà essere un nuovo “punto di osservazione” dell’orizzonte degli eventi del mondo.
*Società Libera
www.societàlibera.org
L’articolo La narrazione: un agente trasformativo dell’orizzonte degli eventi è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.