L’amaro ricordo di un uomo ucciso dalla mafia nelle parole del figlio
Il tono è pacato quando il ricordo del padre riaffiora nelle parole di Alessandro Tedesco, quasi fosse l’amara rassegnazione a una realtà che sa negare il periodo più bello a un bambino e ad un padre. Quello della scoperta della vita, quello della voglia di una quotidianità vissuta nell’affetto.
Una realtà, quella della mafia, che non conosce affettività, che non conosce limiti e spesso rimane impunita.
Quel tragico ottobre del 1989
Era il 2 ottobre del 1989, quando, a notte inoltrata, Giovanbattista Tedesco si avviava verso casa, dopo una giornata di lavoro presso l’Italsider di Taranto. Ma quella notte la morte era in agguato. Quella notte il quasi 40enne vigilante, che forse sapeva troppo, non fece più ritorno nella sua abitazione.
Proprio sotto casa, il sordo fragore dei colpi di fucile ‘a pallettoni’( come ci dice Alessandro) che freddarono quell’uomo, quel padre, quel marito. Nessuno sentì. E solo alle prime luci dell’alba la moglie fece la tragica scoperta.
Fu lei a chiamare le Forze dell’Ordine, ma nessuna traccia di sangue su quel freddo asfalto. Solo il corpo di un uomo ucciso in pieno stile mafioso, colpito alle spalle
Il racconto
‘Quanti anni aveva all’epoca Alessandro e come si rese conto dell’accaduto?’- chiedo ad Alessandro Tedesco, oggi brillante avvocato.
Avevo 8 anni e mi resi conto quella mattina che qualcosa di grave era accaduto per la folla di vicini che popolava la mia casa. Una gran confusione.
Il suo sguardo si perde nel ricordo di quelle immagini ancora così vivide e mi parla del padre. Un uomo rigido, ex carabiniere, che, in quegli anni aveva operato una scelta ben precisa. Quella di rappresentare i valori assimilati nell’Arma anche all’interno dello stabilimento Italsider di Taranto, all’epoca statale.
Era entrato a far parte dunque di un corpo scelto che avrebbe garantito la sicurezza dello stabilimento. E, in esso, Giovanbattista si distinse, per la sua professionalità e il suo rigore, divenendo capoturno..
Mio padre controllava tutto ciò che entrava ed usciva dallo stabilimento, ma si accorse che il traffico di ferro non era regolare, con rilevante danno per lo Stato.
Una figura ‘scomoda’ quindi, ma per chi? Esaminando le modalità dell’esecuzione, come rilevato dagli inquirenti, si trattò di un vero e proprio agguato eseguito da due uomini che si allontanarono indisturbati dal luogo dell’esecuzione su due automobili diverse. Veri professionisti.
Probabilmente- ci racconta Alessandro– avevano studiato le abitudini di mio padre. Lo avevano seguito.
‘E dopo?’.- chiedo con tanta perplessità
Cominciarono le indagini, ma, dopo quasi un anno, colui che venne indagato come esecutore materiale dell’omicidio ( personaggio ben noto alle forze dell’ordine) a sua volta venne ucciso. Il caso fu archiviato.
Cala il silenzio tra noi, un silenzio che sa parlare, sa raccontare tutto il dolore, la sofferenza di questo giovane uomo che crede tuttavia nei valori della giustizia.
La sua scelta, di intraprendere gli studi giuridici, non è stata casuale. Alessandro ripercorre quel sentiero, tracciato dal padre, intriso di onestà e integrità. E la sua voce s’incrina quando racconta gli aneddoti di una quotidianità del passato, frantumata dalla fredda logica della mafia.
‘Avvocato, come ha vissuto quel trauma?’- gli chiedo
Per anni, io e mia madre, abbiamo vissuto nel silenzio. Ci fu consigliato di cambiare città, ma preferimmo rimanere a Taranto.
‘Avete avuto mai minacce?’
No. Noi non eravamo al corrente di ciò che mio padre potesse aver scoperto. Il suo armadietto, all’interno del suo ufficio, fu trovato divelto. Completamente vuoto. Solo un Codice civile, che io custodisco gelosamente.
Alessandro china gli occhi e rispetto il suo dolore
‘Avvocato che cosa direbbe a suo padre se potesse parlargli?’
Gli chiederei che cosa avesse scoperto
Pensa che glielo direbbe?
Certamente da vivo, no.
Il racconto di Alessandro Tedesco, oggi avvocato, un tempo figlio di un uomo caduto sotto i colpi di un fucile a causa della sua onestà, termina qui. Ma gli interrogativi, tanti, rimangono sospesi, ansiosi di avere quelle risposte che probabilmente non giungeranno mai.
Dopo circa 20 anni Giovanbattista Tedesco è stato riconosciuto ufficialmente dallo Stato ‘vittima della mafia’
https://www.corrierenazionale.net/
L’articolo ‘La mafia mi ha tolto l’infanzia’ è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.