Del 9 Aprile 2024 alle ore 07:55
Racconto 15 p.
di Yari Lepre Marrani
Era stato tutto così tremendamente vivido e vivace e colorito nella sua infamia. Gradualmente mi stavo riprendendo anche se mi sentivo ancora agganciato a quel carro con i lacci in quel brullo paesaggio medioevale, immerso in quella fosca campagna sotto quel cupo cielo saettante. Ma mi stavo riprendendo e, alzandomi, vidi sul tavolino accanto al pc un altro laccio emostatico vicino ad alcune siringhe nuove, sigillate. No, no, dovevo calmarmi con questa roba ma quando ti droghi le tue giornate trascorrono tra lo sballo, l’estasi e la loro assenza. Ti senti com’ero io nell’incubo, in balia dei carnefici che ti avvinghiano eliminando ogni tua libertà, sino a che ti massacrano.
E quella notte, prima dell’incubo o allucinazione che sia, mi ero fatto sia con l’ecstasy che con l’LSD, un mix che si era rivelato infernale. Guardai fuori dalla finestra e vidi palazzi e case silenti e strade illuminate e deserte, tutti sotto l’attento occhio della luna circondata da piccole stelle. Ebbi un soprassalto di rabbia selvaggia, la stessa che la folla della mostruosa visione aveva contro di me e con la mano gettai a terra, sul parquet, tutta quella roba che mi aveva fatto impazzire di dolore e che se ne stava tranquilla sul mio comodino, tutta roba letale che dovevo eliminare dalla mia vita ma che, già sapevo, non sarei riuscito a farlo. “All’inferno!!” dissi avvilito e mi avvicinai al bagno. “Ehi, ci sei?!” mi disse Susan da dentro con la voce già fortemente alterata.
Anche Susan non scherzava con quella roba e adesso era in bagno che se ne faceva altra. Poveretta, pensai, senza saper cosa dire e pensare di me, ch’ero peggio di lei. I buchi sulle mie braccia lo dimostravano. Non le risposi ma aprii la porta del bagno, non si era chiusa a chiave. Non si accorse nemmeno che avevo aperto la porta. Sbirciai dentro e la vidi appoggiata alla vasca da bagno prossima a bucarsi con la siringa in mano e dallo specchio di fronte ne vidi gli occhi già arrossati, circonfusi da un penoso colore bluastro. Povera Susan…ma io ero peggio di lei. Aveva già il laccio emostatico legato al braccio. E non mi sentiva o vedeva, mentre la osservavo, immersa com’era nell’estasi della droga più potente e devastante. No, ancora non mi ero ripreso del tutto e quando vidi Susan in quella condizione, come tutti i giorni, pensai di fermarla ma tanto non sarebbe servito a nulla: sia io che lei eravamo due drogati. Due drogati dannati dalla società.
Una coppia perfetta per un’imperfetta vita. L’allucinazione visionaria che avevo avuto era stata frutto di quel satanico mix di sostanze che mi ero ingurgitato e dell’eroina che mi ero iniettato. Un doloroso mal di testa, improvviso, mi colse mentre, delicatamente per non esser scoperto, richiudevo la porta del bagno lasciando Susan al suo destino che poi era anche il mio. Non mi era mai capitato di precipitare in una psicosi così atroce e quel mal di testa…il cervello nel pallone…le vertigini…il terrore della morte ancora pulsante in me erano il finale bombardamento con il quale quell’incubo (o come lo si voglia chiamare) continuava a perseguitarmi nelle mute stanze di casa mia. Dopo aver chiuso la porta di Susan un’ombra dietro il letto mi immobilizzò paralizzandomi le ossa: era il mio gatto che, furtivamente, rientrava in stanza dopo la sua dormita. I miei sensi fiutavano ancora l’odore di quella cella e le mie orecchie udivano le voci martellanti dei due frati, la folla inferocita, il gelo del mio corpo nudo sul palco dell’esecuzione, il sadismo di quei due cavalieri sui loro ronzini, la pronuncia della condanna a morte. Tutto andava e veniva, l’incubo cessato e la realtà attuale, nella mia stanza, in un’altalena psichica che non era ancora finita.
E poco dopo avvertii ancora la voglia di una pasticca, ero proprio pazzo e incosciente verso me stesso. La droga era la mia cella e la mia prigione, la vita che mi costringeva a condurre la condanna ad una morte in vita. Mi girai verso terra fissando quella robaccia che vi avevo gettato. No, questa volta non mi prendeva, era troppo infame lo scherzo che l’LSD mi aveva fatto quasi facendomi saltare il cuore dal terrore e ancora esso non si era calmato. Resistetti. Decisi di andare in cucina per sviare la mente, dovevo riprendermi, riassestarmi. Andai in cucina, accesi la luce, bevvi tre bicchieri d’acqua e poggiai la mano destra sul petto e la sinistra dietro al collo: ero un relitto. Tutto taceva a notte fonda, udivo solo gli strani gorgoglii vocali di Susan che si faceva nel suo bagno. Poveretta…poveretti noi. Mi versai un altro bicchiere d’ acqua fresca, ne avevo bisogno; lo bevvi tutto d’un sorso quasi a purificarmi corpo e anima. Mi toccai la fronte, sudavo ancora e tanto. Non dovevo più pensarci.
Dovevo distrarmi. Ecco l’ispirazione imperativa del momento: dovevo distrarmi. E cosa c’era di meglio di un po’ di tv? Presi il telecomando, la mano ancora tremante per quella visione o per la droga, non sapevo. Accesi un canale qualsiasi e mi apparvero le news. Le immagini scorrevano rapidamente in un flusso mediatico che nasceva dalla mia tensione nel cambiare continuamente canale per trovare, magari, un tenero cartone animato che purificasse il mio spirito con le sfumature dei fanciulli. Ma vedevo solo cupezza in tv, ogni canale mostrava immagini di tensione: musica rock, violenti film western, news scioccanti, pubblicità intrusiva e bombardante. Cambiai ancora canale e vidi un uomo smilzo, con una curiosa cravatta gialla sormontata da un volto baffuto da venditore e commerciante. Sorrideva furbescamente alla telecamera quando quest’ultima espanse la sua visuale e mostrò alla sua destra, poggiato su un tavolo bianco con il contenitore alle sue spalle, uno strano apparecchio con un cappuccio marrone dal quale partivano elettrodi di diversi colori oltre alla presa elettrica per l’accensione ben visibile e attorcigliata, “Ben trovati ad una nuova puntata di VendiVendi.
Il vostro venditore preferito, Ivan, è sempre con voi e oggi vi presenta un nuovo prodotto adatto agli adulti di tutte le età, pensato per l’eccessivo carico di stress e il rallentamento o alleggerimento della tensione nervosa. Tutti siamo stressati e tesi ma talvolta i nostri nervi non resistono più e qui arriviamo noi con la nostra nuova offerta che cambierà le vostre vite, il nuovo nostro prodotto: il boia elettrico!” disse quel tizio. “Ma stai scherzando?!” bisbigliai a bassa voce mentre già la mano che reggeva il telecomando iniziò a vibrare e i miei nervi a sussultare. Indietreggiai di qualche passo, un po’ scosso mentre dal bagno udivo le grida di esasperazione di Susan. Riuscii,con orrore, a cambiare subito canale appoggiandomi al lavabo della cucina e iniziando a strofinarmi nevroticamente il collo. Capitai su un canale locale che mostrava una Chiesa e diverse persone che vi ci entravano, vestite di nero. Dalla Chiesa le immagini passavano alla campagna circostante per poi immergersi all’interno del luogo di preghiera ma non c’era una voce narrante.
Vidi le riprese di tanta gente seduta sulle panche dell’interno pregiato della Chiesa: mostravano la celebrazione di un funerale, una tomba innanzi all’altare, un sacerdote triste e molto magro, gente che piangeva, immagini nitide. Oddio, pensai. Guardai la scena. Immagini di un funerale scorrevano ai miei occhi, forse era morto qualcuno d’importante, doveva trattarsi di un personaggio ma non essendoci voce narrante o di uno speaker non si capiva. Era il canale regionale con le news di tarda notte. Doveva essere una notizia importante. Ero infastidito ma incuriosito: vidi il sacerdote avvicinarsi alla tomba con il suo vestito nero e la sua stola e spargere acqua santa sulla tomba poi, con voce sonora ma dolce, disse testualmente“Signore, accogli quest’anima cara tra i tuoi mirabili sentieri di pace. Quest’anima che ora ti ha raggiunto ha trovato la pace eterna ed è monda da ogni colpa. Mandiamo tutti, fratelli, un’oblazione pura a Nostro Signore in suo ricordo. E’ ora! preghiamo fratelli!!” e a queste ultime parole non resistetti :caddi subito a terra, preda delle più forti convulsioni.
FINE
L’articolo E’ ora, preghiamo fratello è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.