Del 30 Marzo 2024 alle ore 11:04

Quando l’ecologia era ancora la “figlia femmina” della politica italiana, negli anni ’60 del Novecento, un periodo in cui l’attenzione verso l’ambiente stava solo cominciando a prendere forma a livello globale, Giorgio Nebbia ha avuto un ruolo cruciale nel sensibilizzare l’opinione pubblica e la comunità scientifica sui problemi ambientali e sulla violenza incorporata nelle merci, che spesso le accompagna e conduce alle guerre.

Chimico e insegnante di merceologia all’Università di Bari, in “Sete” (1991) affermava che “certamente stiamo assistendo a modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera che comportano mutamenti nel bilancio tra la radiazione che arriva sulla Terra dal Sole e l’energia che la Terra irraggia di nuovo negli spazi interplanetari. Probabilmente queste modificazioni possono portare dei mutamenti della temperatura media della Terra e forse del ciclo dell’acqua a livello planetario”.

Nebbia considerando l’ecologia non solo come una scienza che studia le relazioni tra gli organismi viventi e il loro ambiente, ha incluso le politiche economiche e industriali che impattano sull’ambiente. Tra i fondatori e promotori di Legambiente, una delle principali organizzazioni ambientaliste italiane, ha sottolineato l’importanza di una visione olistica e multidisciplinare. Questo ci porta inevitabilmente alle teorie sul caos e alla loro complessità.

Tuttavia ha fatto luce su come le pratiche economiche e industriali, dell’attuale sistema di produzione, influenzino non solo l’ecosistema, ma anche le dinamiche sociali e politiche. Una delle sue riflessioni più rilevanti riguarda il concetto di “violenza nelle merci” e il loro legame con la guerra: i processi di produzione, distribuzione e consumo di beni incorporano e riflettono forme di violenza, non solo nei confronti dell’ambiente, ma anche nelle relazioni sociali interne agli stati e internazionali.

Lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali provoca danni ambientali, disuguaglianza e iniquità sociale, contribuisce all’incremento della tensione e ai conflitti tra le nazioni, la presenza di tale “violenza“, intrinseca nelle pratiche economiche, quindi la competizione per le risorse naturali, può generare conflitti armati.

“Volendo, tutta la storia umana può essere raccontata sotto forma di guerre di conquista di materie prime e di merci… Cambiano i protagonisti, cambiano le merci e le materie oggetto di scambio, cambiano gli strumenti di conquista, ma la morale è sempre la stessa: alcuni paesi, alcuni popoli ‘possiedono’ delle risorse naturali – minerali, pietre, piante, animali, acque, fonti d’energia, mano d’opera – e vengono aggrediti da altri paesi e altri popoli che vogliono appropriarsi di tali beni”.

Le guerre attuali sorgono spesso per la necessità di controllare le risorse strategiche, quali petrolio, minerali, acqua, etc., d’altro canto l’industria bellica, la produzione di armamenti contribuisce al consumo di risorse, innescando un circolo vizioso che danneggia ulteriormente l’ambiente, depauperandolo, e perpetua la violenza.

L’impatto dell’attività militare è notevole: la guerra comporta perdite nelle popolazioni e nelle infrastrutture, ma le operazioni militari producono grandi quantità di gas serra che vanno ad incrementare il cambiamento climatico di origine antropica, vanificando l’impegno congiunto su obiettivi comuni contro l’inquinamento e l’esaurimento di risorse naturali.

Sofferta e accorata la denuncia del Papa al COP28 con la sua richiesta “Custodiamo il creato e proteggiamo la casa comune; viviamo in pace e promuoviamo la pace! https://www.youtube.com/watch?v=Pi8zel4uXFk

Rammentiamo anche che Giorgio Nebbia fu rappresentante del Vaticano alla prima conferenza mondiale sull’ambiente, organizzata dall’ONU a Stoccolma del 1972 e fu anche nominato consulente della Santa Sede per la Commissione di Giustizia e Pace del Vaticano.

Osserviamo che la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) invita gli Stati a monitorare e comunicare le loro emissioni di gas serra ogni anno, ma la segnalazione delle emissioni militari non è vincolante, quindi i dati sono spesso assenti o incompleti.

Attualmente, gli intensi bombardamenti in Ucraina hanno causato incendi notevoli, visibili dai satelliti, hanno distrutto foreste e habitat unici. Ogni esplosione produce elevati quantitativi di polveri e gas che inquinano l’aria e sono trasportate molto lontano dai venti, interessando l’intero globo terrestre.

Oltre a questo va sottolineato che l’Ucraina ha un elevato tasso di contaminazione dei suoli: molti terreni sono inutilizzabili per ordigni inesplosi o per la  presenza di sostanze tossiche come il fosforo bianco. Il costo di tutto ciò in termini di danni è stato stimato da alcuni ricercatori in circa 46 miliardi di euro, alla data del 4 novembre 2023, quasi 5 mesi fa!

Altri dettagli da un rapporto sui primi 18 mesi di guerra: è emerso che sono state rilasciate 150 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e), più delle emissioni annue di un paese industrializzato come il Belgio, di queste il 25% dovuto alle operazioni militari. Tali attività comportano un elevato impiego di carburante, sia per le attività militari vere e proprie e sia per il rifornimento e la logistica, richiedono anche munizioni, equipaggiamento, costruzioni di cemento lungo il fronte e non solo.

Nel rapporto*  si stima che il consumo di carburante delle truppe russe abbia prodotto  24,9 tCO2e, 7,1 tCO2e quello delle truppe Ucraine, quindi 2,8 tCO2e per l’uso delle munizioni, 1,5 tCO2e  per l’equipaggiamento militare, 0,2 tCO2e per la costruzione di fortificazioni e 0,4 tCO2e per la fornitura degli equipaggiamenti, da aggiungere alle 0,1 tCO2e per l’accumulo di forze pre-invasione, cioè il processo per radunare e organizzare le risorse militari e il personale, prima dell’invasione.

Vi sono anche le stime per la ricostruzione, ma intanto il conflitto prosegue e si accumulano morti, distruzioni ed emissioni.

Ritornando a Nebbia, aveva proposto di riflettere sul significato di progresso e sviluppo, invitando a considerare modelli alternativi che promuovano la pace, la giustizia sociale e la sostenibilità ambientale. Aveva sottolineato l’importanza di una maggiore consapevolezza collettiva, di scelte di politica economica che privilegino il benessere dell’ecosistema e della comunità globale, oltre all‘impegno individuale verso stili di vita più sostenibili.

Infatti ha affermato che un secondo contributo potrebbe essere dato da una “maggiore conoscenza e attenzione per la storia naturale delle merci”. Ogni prodotto che usiamo quotidianamente è fatto da materie prime che hanno differenti provenienze, chiederselo significa approvare, sostenere le iniziative per un commercio “equo e solidale”. Importante porsi domande su quanto “costa”, non solo monetariamente, ma in termini di risorse impiegate quali materie prime, energia, acqua, ambiente, perché l’inquinamento è un consumo di ambiente. Così come chiedersi quali territori impoverisca e quali contamini, ed inoltre  quale è il “contenuto di violenza” che ciascun prodotto incorpora “dentro di sé”, quali conflitti armati ne hanno resa possibile la disponibilità?

In tale direzione la Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite nel 2019 ha avanzato  28 progetti di principi giuridici sulla Protezione dell’Ambiente in Relazione ai Conflitti Armati (PERAC), ancora nello stadio di draft. La Commissione terrà la sua settantacinquesima sessione presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra (UNOG), anziché dal 15 aprile al 31 maggio, dal 29 aprile al 31 maggio, quindi dal 1° luglio al 2 agosto 2024 (per un totale di 10 settimane), che seguiremo con attenzione.

*20231201_ClimateDamageWarUkraine18monthsEN.pdf (climatefocus.com)

L’articolo Nebbia, Guerra e Pace è già apparso su Il Corriere Nazionale.

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