Riceviamo e pubblichiamo
Gentile Redazione,
il 7 Aprile del 2021, quando ad Ankara nell’incontro istituzionale con il Presidente turco Erdogan, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen rimase in piedi senza sedia, mentre Charles Michel si accomodava compiaciuto a favore di telecamere, si fece un gran parlare di quella rappresentazione di scomposta arroganza. I gesti sono spesso più forti delle parole.
Eppure le parole sono pietre, soprattutto se scagliate con incosciente sconsideratezza da chi dovrebbe usare la misura e la sobrietà che il proprio ruolo istituzionale imporrebbe. Ci riferiamo alla sequela di slogan propagandistici contenuti nell’intervista a Charles Michel, pubblicata il 19 marzo 2024 dal vostro giornale, intitolata “Produrre più armi e addestrare i soldati. Se vogliamo la pace prepariamo la guerra”.
Una leggerezza irresponsabile, come se le dichiarazioni incendiarie da lui pronunciate pochi giorni prima, non si inserissero in una micidiale escalation di provocazioni nei confronti di una potenza nucleare, ma fossero state scritte nella chat del videogioco “Call of Duty”.
Riportiamo qui di seguito alcune di quelle dichiarazioni, la cui fondatezza è discutibile – quando non manifestamente falsa – tanto da suscitare in noi una profonda indignazione, nonché preoccupazione:
- “…le decisioni adottate durante quella riunione del consiglio d’Europa (ndr. del 24 febbraio 2022) hanno segnato la nascita dell’UE geopolitica”. Un’affermazione smentita dai distinguo tra chi, come Macron, vorrebbe già spedire giovani europei sul campo di battaglia e chi, come l’Italia, dichiara la propria opposizione a tale prospettiva. Ci chiediamo – e rivolgiamo la domanda direttamente a Charles Michel – in questa UE geopolitica, chi dichiarerebbe lo stato di guerra? Lui in persona? E’ questo l’assetto democratico che l’UE geopolitica si merita? Una UE senza una vera separazione dei poteri, tra legislativo ed esecutivo, dove l’Europarlamento
– unica istituzione politica con rappresentanti eletti direttamente dai cittadini – non è stato neppure consultato rispetto alla prospettiva dei “boots on the ground”, né si è pronunciato sul tramonto dell’Europa di pace che Charles Michel già considera ineluttabile.
- L’affermazione “possiamo essere fieri di quanto abbiamo fatto finora” è di un cinismo spregiudicato. Ci chiediamo increduli di cosa si possa andare fieri. Delle decine di migliaia di morti – militari e civili – su entrambi i fronti di guerra? Della netta superiorità militare russa finora dimostrata sul campo? Del fatto che nonostante le 926 sanzioni europee comminate alla Russia (in aggiunta alle 1229 sanzioni americane) il PIL della Russia è cresciuto del 2,2% nel 2023, secondo dati dell’FMI, mentre l’economia europea ristagna o è in recessione? Dell’inflazione salita a livelli che non si conoscevano dagli anni ottanta del secolo scorso, dovremmo andare fieri? Anch’essa è in gran parte conseguenza del conflitto in Europa e del conseguente rialzo dei prezzi del nuovo mix di approvvigionamento energetico, intervenuto per sostituire l’energia russa a basso Oppure dovremmo essere fieri della politica monetaria restrittiva per contenere le spinte inflazionistiche – non da domanda – che sta taglieggiando i bilanci delle imprese e delle famiglie indebitate?
- “a due anni dall’inizio della guerra è ormai chiaro che la Russia non si fermerà in Ucraina”. E’ questa un’asserzione da grancassa Eppure Putin ha affermato in più occasioni che “la Russia non ha interessi geopolitici, economici, politici e militari a combattere contro i Paesi Nato”. In effetti l’accordo di pace del marzo 2022 che l’Ucraina non ha voluto sottoscrivere (non senza pressioni da parte anglo-americana), proposto dal Cremlino prevedeva la neutralità del Paese “aggredito”, con la sua sicurezza garantita da entità nazionali terze, anche Occidentali.
- L’affermazione caricaturale “del Cremlino di portare a termine facilmente una guerra di tre giorni contro l’Ucraina” è stata smentita da vari analisti che hanno collegato quella ritirata strategica delle truppe russe da Kiev, proprio al tentativo di facilitare i negoziati di pace – poi abortiti – del marzo del
- “La Russia rappresenta una seria minaccia militare per il nostro continente europeo e per la sicurezza globale….Dobbiamo essere pronti a difenderci e a passare ad un’economia di guerra”. Ancora una frase propagandistica e minacciosa, che ha lo scopo di corroborare gli ordinativi e gli interessi delle industrie belliche, a cui Charles Michel sembra particolarmente sensibile, tanto da ammettere che: “dall’inizio della guerra l’industria europea della Difesa ha aumentato del 50% la sua capacità di produzione”.
- “…Dobbiamo rafforzare le nostre capacità, sia per l’Ucraina che per l’Europa, di difendere il mondo democratico”. Come sinceri democratici proviamo un certo disagio nel vedere assimilare l’Ucraina al modello democratico,
essendo un Paese dove grazie alla corruzione o ad altre scappatoie burocratiche si può evitare la coscrizione (mentre i giovani poveri Cristi muoiono al fronte a migliaia), dove vige la legge marziale e dove ben 11 partiti d’opposizione sono stati banditi dalla scena politica.
- “Quest’anno la Russia dovrebbe spendere il 6% del PIL per la Difesa, mentre l’Ue continua a spendere meno del 2%….sono decenni che l’Europa non spende a sufficienza nella nostra sicurezza e nella difesa”. Peccato che Charles Michel ometta di nominare i dati in termini nominali, giacché il PIL a prezzi correnti dell’UE era di 962 miliardi di € a fine 2023, mentre quello Russo di soli 1.857 miliardi di Euro. Quindi se la Russia impiega il 6% del PIL in spese militari, la cifra ammonta a 111 miliardi mal contati, mentre il 2% del PIL UE vale 339 miliardi di euro, pari a circa tre volte lo stanziamento russo. Charles Michel si è riscoperto Dottor Stranamore e prova a normalizzare la guerra, forte del suo “armiamoci e andate”. Si esprime con parole del tipo: “la necessità che il nostro pensiero compia una transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza strategica”. Come se l’escalation militare nei confronti della prima potenza nucleare mondiale potesse veramente aumentare la sicurezza in Europa.
Si gioca con il fuoco, propinando l’ossimoro: «Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”. Per fornire ulteriori armamenti agli Ucraini e incrementare il nostro arsenale militare, si prevede addirittura il ricorso a nuovo debito pubblico e all’emissione di eurobond, nonostante l’opposizione dei Paesi frugali. E’ questo il futuro che stiamo preparando alla “Next Generation”? Il primo esperimento di mutualizzazione del debito UE è stato varato nel periodo della “guerra al Covid19”, per finanziare la sanità, la transizione verde e digitale, la coesione sociale e territoriale. Ora, con un doppio salto carpiato, si vorrebbe far indebitare gli Stati per finanziare uno dei settori merceologici più climalteranti in assoluto. E in barba allo statuto convertito alla finanza sostenibile della BEI, il Presidente del Consiglio Europeo adombra la possibilità di: “valutare la possibilità di ampliare il mandato della Banca Europea per gli Investimenti”.
Si sta preparando un’inquietante conversione ad un’economia di guerra, incompatibile – in termini di impronta carbonica – con il “Green Deal”. Quale tra le due prospettive ci aspetta, un futuro verde o un futuro nero?
Con l’orientamento a finanziare forniture militari per un Paese terzo in guerra, si tradisce non solo il ripudio della guerra, contenuto nell’articolo 11 della nostra Costituzione, ma lo stesso preambolo della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” che recita: ”I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.”
E’ completamente assente nell’intervista ogni riferimento ad un ruolo proattivo dell’UE per un cessate il fuoco e per favorire una soluzione diplomatica che spinga le parti verso un accordo condiviso, come auspicato dal Papa e dal mondo pacifista. Si continua ad istigare il popolo ucraino a combattere fino all’ultimo uomo, rifornendolo di armamenti sempre più offensivi, secondo la logica del “si vis pacem, para bellum“, una logica che ci riporta indietro all’alto medioevo… con la differenza che allora non esistevano le circa 6.000 testate nucleari di cui è dotata la Russia.
Antonella Trocino (Associazione Beni Comuni “Stefano Rodotà”); Cristina Rinaldi (Comitato Pace e non più Guerra); Rosapia Farese-(Associazione FareRete InnovAzione BeneComune APS), Antonella Galetta (Costruttori di Pace); Daniela Belliti (Costruttori di Pace); Thomas Casadei (ANPI Forlì); Stefano Falomi (Costruttori di Pace); Stefania Cancellieri (Comitato Pace e non più Guerra); Enrica Lomazzi (WILPF Italia); Alba Castellani (ANPI Milano); Iosè Maria Tarallo (Comitato Pace e non più Guerra); Teresa Iarocci Mavica (Comitato Pace e non più Guerra); Fabiola di Caccamo (Comitato Pace e non più Guerra); Giulia Loguercio (Comitato Pace e non più Guerra ); Federico Russo-(Comitato Pace e non più Guerra); Rosanna Attanasio (Costruttori di Pace); Tiziana Piccone (Comitato Pace e non più Guerra); Alba Iasiello (Comitato Pace e non più Guerra); Longo Roberto (Comitato Pace e non più Guerra); Patrizia Sterpetti (Wilpf Italia); Ginevra Bompiani (Assemblea per la pace); Lisa Liso (Costruttori di pace); Matteo Scarlato (Comitato per la Pace, Alto Tavoliere); Cristiana Mancinelli Scotti (Comitato Pace e non più Guerra); Paola Poggi (CLN); Olimpia Mastroianni (Comitato Pace e non più‘ Guerra); Ferdinando Vurchio (Europa per la pace); Paolo Grilli (Comitato Pace e non più Guerra); Rosangela Pesenti (Coordinamento Nazionale Ecofemm), Nicoletta Dentico (Society for International Development); Gabriella Taddeo (Vita Activa Nuova APS); Marisa Salabelle (Pax Christi); Luca Baccelli (Jura Gentium).
L’articolo All’attenzione della testata giornalistica “Il Corriere Nazionale.net ” e per conoscenza a Charles Michel e ai membri del Consiglio Europeo è già apparso su Il Corriere Nazionale.