Del 28 Marzo 2024 alle ore 21:44
di Francesca Girardi
C’è un’azione che capita a tutti di svolgere e, anzi, in questi giorni che anticipano la Pasqua, accade molto spesso: stringere la mano dell’altro.
Un gesto semplice, a volte automatico, dovuto, voluto. Un segno che si potrebbe riconoscere come convenzione, un’etichetta di comportamento socialmente riconosciuto. Nell’attimo delle presentazioni, si allunga e si stringe la mano vicendevolmente; quando si saluta, è buona norma dare la mano; quando si scambia un augurio, è educazione farlo accompagnando la voce con il gesto. E sicuramente ognuno esprime il personale parere sulla sensazione percepita dalla stretta dell’altro: per qualcuno è troppo debole, per altri è troppo forte, per alcuni è addirittura fastidiosa ma si sa che bisogna farlo, per altri ancora è un momento di conoscenza sinceramente vissuto.
C’è una stretta di mano che non viene fatta per convenzione o per seguire l’abitudine, non è nemmeno un momento di conoscenza, è molto di più. È una reazione spontanea a un’emozione; quando ci si trova a tu per tu con qualcuno a noi caro, con un amico in difficoltà, con una persona che stiamo per salutare e forse rivedremo, o non rivedremo più. È una Stretta di mano da scrivere con la s maiuscola perché capace di interpretare, tradurre e divenire prolunga tramite cui far arrivare all’altro tutte quelle parole che frullano nella mente, che agitano l’animo e alle quali non si riesce a dare voce. Non è un segno di saluto che si ferma al buongiorno, all’arrivederci, all’ augurio. Va oltre, è un canale di trasmissione universale attraverso cui elaborare le percezioni provenienti dall’empatia, dall’affetto, dal trasporto emotivo. E la domanda è: potremmo riscaldare tutte le altre strette di mani con un cenno, seppur piccolo, di tale sincero trasporto? Non un’emozione profonda come quella tra padre e figlio che si trovano seduti a un tavolo, in compagnia delle miriadi di discorsi che vorrebbero fare e non sanno da dove iniziare, per poi allungare e stringersi le mani l’uno all’altro, senza la necessità di aggiungere parola.
No, non è necessario tutto questo, è sufficiente una semplice nota di attenzione. Essere nel mondo porta a entrare in relazione con ogni cosa e persona che ci circonda. E allora, come sarebbe stringere la mano accompagnandola dalla sensazione che si percepisce quando si prende in mano un libro? Anche il libro che non interessa, ma che si incontra e di cui si guarda comunque la copertina, per poi riporlo e lasciarlo ad altri lettori.
La copertina è sotto l’occhio di tutti, sia di coloro la stanno cercando, sia di coloro che non ne sono richiamati, ma la incontrano. Sì, proprio anche di questi ultimi, che poi selezionano: la più attraente, che invita a prendere in mano il libro; la più fantasiosa, che merita qualche secondo di attenzione; la più ermetica, che ammaglia per la sua apparente incomprensione per cui si volta il libro sulla quarta ci di copertina. E la lista potrebbe scorrere ancora più lunga, ognuno ha la propria idea e opinione al riguardo. Con il libro noi tutti entriamo in relazione, che lo si voglia o meno.
Non è la stessa cosa tra gli individui e le loro strette di mano? A tutti, prima o poi, capita di stringere la mano che, alla stregua di una copertina, permette di scegliere se agganciarci per un brevissimo istante all’altro, se portare attenzione a quanto ci arriva, se scegliere di leggere un pezzettino di trama. In questo modo facciamo la conoscenza e decidiamo se rimanere o proseguire. Ecco, come sarebbe stringere le mani con questa attenzione?
Cerchiamo di dare un tocco di bellezza a tutte queste strette di mano.
L’articolo Una semplUna semplice stretta di manoice stretta di mano è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.