Racconto 4p
Yari Lepre Marrani
Non sapevo, non sentivo, non capivo! Ma ero fisso innanzi a quell’ulteriore elemento che straziava il mio cuore assillato dall’agitazione più dolorosa, dall’angoscia più devastante. E non poteva esser altrimenti visto che ero imprigionato in una cella buia e umida, con la compagnia di orrendi teschi, serrato al letto da catene ferrate e nella mia cella, oltre alla compagnia dei sorci famelici, c’era il quadro rappresentante il più orrendo dei supplizi: lo scuoiamento. Disperazione: questo il sentimento che saliva dentro di me pensando – e non volevo pensarci! – che forse quel quadro rappresentava il destino che mi aspettava, era la raffigurazione della mia sorte che qualche crudele assassino aveva cinicamente appeso a quel muro affinchè ne prendessi contezza. La capocchia del mio fiammifero era ancora accesa e abbastanza viva.
Con un’angosciosa sofferenza che mi lacerava il corpo e la mente decisi di spostare la luce del mio fiammifero da quel quadro macabro che tanto dolore m’incuteva e mi spostai leggermente a sinistra per vedere, per scoprire se c’erano altri teschi, altri quadri, altri orrori. E, spostatomi di pochi centimetri, rimasi colpito nel vedere, poco più in alto dalla cornice del quadro, incombente sopra di esso, un piccolo orologio incastonato nel muro che segnava, esattamente, le 9.50 del mattino, vista la fioca luce solare che entrava, posandosi sul pavimento della cella, da quella triste grata. Un orologio…le sue lancette battevano le 9.50, spiccava la luce quindi era il primo mattino. Con un sentimento di estrema desolazione, non sapendo cosa mi sarebbe successo ma già intuendolo visti gli elementi che mi circondavano e nei quali ero immerso, mi scostai da quella posizione e feci alcuni passi indietro con il cerino ancora acceso tra le mani. Mi sentii perduto, solo, finito…e ancora non sapevo nulla. Fu in quel preciso istante che le mie orecchie ben udirono degli strani rumori provenire da sotto terra, sotto ai miei piedi: rumori, mormorii, strani sibili, qualcuno che armeggiava, nessuna voce umana. Il mio fiammifero stava per consumarsi ma potevo ancora utilizzarlo per un minuto. Mi accostai a terra, piegandomi avvertii ancora quel dolore serpeggiante alla schiena. E verso terra avvicinai il fiammifero e con ulteriore stupore vidi una botola di ferro ubicata quasi al centro della cella ad uguale distanza dal letto come dalle sbarre che mi chiudevano al mondo Era una botola nel centro della cella, senza maniglia ed io udivo quei rumori provenire dalle viscere di quella terra che essa copriva…non capivo.
Quasi caddi in un infarto di terrore e il mio cuore fu sul punto di cedere quando, mentre con il fiammifero ancora acceso scostavo la mano dalla botola ferrata, quest’ultima si mosse, si aprì, orridamente cigolando ovvero qualcuno, da sotto terra, l’aprì e la scostò ed io vidi subito cos’era: una mano completamente nera, nera come la morte, con unghie bianchissime. La forza d’animo mostruosa o la più dilaniante curiosità non mi fecero svenire quando vidi quella mano nera che, dopo aver aperto, spostato la botola, usciva dalle viscere con un piatto in legno rotondo reggente una brocca d’acqua, un tozzo di pane e…un biglietto bianco. Quell’orrida mano appoggiò il piatto in legno accanto all’apertura della botola poi rientrò nelle profondità richiudendo la botola con uno nevrotico scatto. “Questo è un incubo” dissi a voce bassa mentre fissavo, sconvolto, quella botola dalla quale era appena uscita – e rientrata – quella mano nera posando quel piatto. Trasalii per qualche secondo e mi toccai per capire se ero reale o incorporeo. Ero carne ed ossa quindi non sognavo, non era un incubo, tutto era reale! Il fiammifero si stava spegnendo lentamente per rigettarmi nella tenebra mentre mi avvicinavo al piatto deposto a terra.
segue…