Il maestro di servitori e serve
Dopo Apicio è sicuramente il più grande gastronomo del XVIII* secolo.
Di origine incerta, per le scarse notizie sulla sua nascita, Antonio Nebbia si immagina di collocarlo proprio nel territorio della città marchigiana, Macerata, questo a causa del titolo dato al suo manuale, e anche per una pandette notarile del 1875 nella quale declama un testamento perché infermo, e la pubblicazione della quarta edizione della sua opera, del 1786, l’ultima ad avere ancora correzioni ed integrazioni.
E’ tipico degli esperti la voglia di insegnare il mestiere ai giovani, quasi una mission da scuola professionale, e il nostro Nebbia oggi starebbe benissimo, dal momento che in Italia, e non solo, quello che si pensava fosse il secolo del sesso, in realtà è il secolo della cucina, basta vedere tra i canali dei media quanti spadellano a tutte le ore.
Il nostro libro della soffitta, lo trovate già tutto in rete da sfogliare, segno che è passato direttamente dallo scaffale polveroso alla rete mondiale: potenza della cucina!
Il suo approccio mi piace, sia nel definire l’opera “utile e vantaggiosa”, e poi perché il manuale non è rivolto a ricchi danarosi – quale nobile nel ’700 amava divertirsi in cucina? – ma a serve e servitori.
I quali non cedano all’illusione di conoscere il mestiere di saper cucinare bene ai propri padroni senza aver conoscenze ed abilità.
Scrive il nostro nella parte finale della prefazione.
” Si ricercan dunque per fare bene l’uffizio del cuoco due cose: la prima l’essere bene e perfettamente istruito; la seconda è di mettere in esecuzione la propria abilità colla maggiore pulizia.
Tali due prerogative sono troppo necessarie, né possono giammai andar separate e disgiunte, senza pregiudizio dell’umana salute, come immagino, che ognuno abbia in se stesso sperimentato “.
Che dire? Il taglio è proprio del formatore, consapevole del fatto che consegnava al mondo un testo che sarebbe stato “vangelo” per i cultori dell’arte culinaria, quell’arte che, come conclude la presentazione. sarà gradita ai padroni che: “…saran per fare applauso alle proprie fatiche, quando le troveranno di gusto, e pulitamente lavorate”
Siamo nel secolo d’oro, dell’apparire più che essere spagnolo, della magnificenza delle corti e il cuoco maceratese creava salse, crostini, torte di latte, cucina per pochi e
anche per 20, ecc..
” ogni sorta di vivande, tanto di grasso che di magro; imbandir Mense secondo la nuova moda, ed ultimo buon gusto; e finalmente il modo facile di fare allievi di sotto Cuochi, ed il dover di questi verso i loro respettivi Offiziali. Utile e vantaggioso non solo a’ giovani Servitori, e Donne di cucina, ma anche a tutti quei, che intendono applicare a simil mestiere”
Secondo il Comune di Macerata ad Antonio Nebbia si deve l’origine e la codifica editoriale del piatto che da sempre identifica la tradizione e la gastronomia popolare delle marche: i VINCISGRASSI.
“La specialità a base di pasta all’uovo aromatizzata con vino cotto e condita in principio con una salsa in bianco di animelle, fegatelli e carni di animali da cortile, si allargò negli usi del popolo, e con l’uso la preparazione venne modificata a seconda delle costumanze e mode delle varie epoche”.
Per concludere questa lettura, approcciamoci ad ascoltare lo stesso maestro : ” Accogli di buon animo, o lettore, queste mie istruzioni e vivi felice”.
Redazione Corriere di Puglia e Lucania
L’articolo Antonio Nebbia le ricette del cuoco maceratese è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.