Del 25 Marzo 2024 alle ore 11:37
Non è un periodo pacifico e ce ne siamo accorti, non è neppure un anno di progresso sociale ed ognuno di noi, con un minimo di ragionamento, con lo spirito critico ed il libero arbitrio che contraddistinguono l’essere umano sa il perché. L’attentato a Mosca rivendicato dallo Stato Islamico, in aggiunta alla situazione attuale di guerre “tra culture” (di cui ho parlato nell’articolo “Guerre tra culture: Gaza”) lascia ancora apertissima la questione riguardante i fondamentalismi (in particolar modo quelli islamici), dunque: come porsi a queste radicalità? È giusto/necessario reagire con la violenza alla violenza?
Innanzitutto, è da precisare sin da subito l’enorme complessità riguardante questi temi: non sono questioni che si possono trattare soltanto nell’ambito morale o politico, ma sono questioni antropologiche. Ciò che a noi sembra assurdo in realtà è frutto di secoli e millenni di mutamenti culturali e/o conservazioni radicali, ed è proprio a causa di questi processi che prendono vita eventi storici come le guerre.
Radicalità e fondamentalismi di questo tipo mettono inevitabilmente di fronte le differenze tra Occidente (che per millenni è stato culla del Cristianesimo, non solo in ambito religioso, ma anche in ambito culturale) e Oriente (tutt’ora culla dell’Islam). L’istituzione ecclesiastica in Europa è stata riferimento culturale sin dai primi secoli dall’avvento del Cristianesimo, fino a non molti decenni fa: ci basta pensare al monopolio della cultura presieduta dalla Chiesa nel Medioevo, ma anche alla centralità della dottrina e della fede cristiana nella società occidentale fino alla seconda metà del secolo scorso. In generale ciò è cambiato dal processo di decadenza istituzionale del Vaticano e della Chiesa (di cui ho parlato nell’articolo “La Chiesa oggi: un soprano senza voce”). L’Islam invece ha svolto un percorso diverso dal Cristianesimo a livello di fondamento ed istituzione culturale (in cui parlerò Altrove), ma la più grande differenza la troviamo ora, nella sua solidità religiosa ed istituzionale, che a differenza di quella cristiana è influente ancora oggi.
Dunque, l’Islam, attraverso l’indottrinamento fondamentalista (e non moderato come quello dell’attuale Chiesa) ha senza dubbio costruito nei secoli una fortissima unità sociale-politico-militare che oggi la società cristiana invidia, ma allo stesso tempo, innegabilmente, è anche la stessa religione che causa più conflitti violenti nel mondo, mentre la Chiesa, ad oggi, è garante di pace, ma da attrice protagonista è diventata ormai comparsa. La mutezza della Chiesa la possiamo capire dalla partecipazione ai conflitti degli stati occidentali nello stesso modo in cui vediamo come essi si tappano le orecchie di fronte alle parole di quelle persone che, così come il Papa, non hanno voce in capitolo.
Pietro Bianchini
L’articolo La voce della violenza, la mutezza della pace è già apparso su Il Corriere Nazionale.