Del 23 Marzo 2024 alle ore 21:55
Sconfitta ed utopia sono momenti che non appartengono solo al pensiero ma all’individuo.
Romano Màdera sembra un l’Ulisse-filosofo sconfitto nel trionfo del pensiero unico: un Ulisse che non ha vinto la guerra di Troia, non avendo individuato alcun inganno contro il nemico.
Il filosofo-psicoanalista nel rivisitare un suo testo del 1977, infatti scrive in “Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche”: “la teoria del capitalismo impediva l’uscita da quelle regole economiche”.
Come Ulisse, appena naufrago nell’isola dei Feaci, si attesta dolorante sul bagnasciuga della sconfitta e del socialismo reale sovietico e quello ibrido del neo capitalismo statale cinese.
Il tramonto del marxismo
La rilettura di un suo testo precedente e la lettura della realtà sociale è, da una parte, un tentativo convincente di riconoscere la validità della teoria del feticismo e del mondo come un’immensa accumulazione di merci e il suo trionfo nell’epoca del turbocapitalismo che esalta sé stesso nella globalizzazione per cui il mondo è “ricoperto di una sola rete di scambi interdipendenti”.
Dall’altra parte, le categorie marxiane sono, per il filosofo-psicoanalista, incapaci di fornire spiegazione della complessità anche se “tutto ruota intorno all’accumulazione economica e a immagine di questa si strutturano i rapporti di potere, le relazioni tra le persone, la psicologia collettiva, i valori, gli ideali, i simboli”.
La rivoluzione impossibile
Romano Màdera afferma l’impossibilità della rivoluzione che affonda le radici nella teoria marxiana in quanto il capitalismo assimila le contraddizioni e le annichilisce laddove per il filosofo di Treviri sono causa della trasformazione del mondo.
Per Màdera il capitale si è mostrato invulnerabile ed insuperabile perché le classi sono subordinati tanto da considerare “naturale” l’attuale formazione storico-sociale, alla classe già votata al compito storico per antonomasia non resta che qualche brandello e lacero di miglioria dell’esistente.
Verso Nietzsche, Freud e Hadot
L’autore e rivolge lo sguardo a Nietzsche e Freud mentre s’intravede l’imprinting e la lezione di Hadot: un percorso che svolta nella “biografia”: non solo analisi economica ma attenzione privilegiata al mondo interiore alla vita, al mondo della vita, alla biografia dell’individuo mentre la sovrastruttura viene portata in primo piano: non c’è la stanca lettura che la vede come puro riflesso della struttura economica: vita e storia camminano insieme.
La filosofia come φρόνησις “conditio sine qua non” della trasformazione sociale è un salto antropologico dell’essere uomini: la filosofia torna ad essere pratica filosofica, stile di vita.
Il trionfo della φρόνησις
L’azione sociale non si dà e si condanna alla sconfitta senza porre al centro l’individuo: un ritorno al “γνῶθι σαυτόν” e al “noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” di S. Agostino.
Se non c’è ricerca dell’εὐδαιμονία non c’è cambiamento: Màdera si pronuncia per una terapia della mente, delle passioni neglette dal marxismo: l’uomo deve andare oltre sé stesso in uno slancio nicciano.
Il valore di passioni ed empatia per il cambiamento. Non manca la crisi del soggetto: siamo tutti post moderni o comunque post qualcosa. Le passioni, l’empatia espunte dalla ricerca scientifica e dall’economia politica diventano percorso obbligato verso la scoperta dell’altro e della relazione con l’altro e prologo al cambiamento.
La filosofia come cura dell’anima è benvenuta purché non si dimentichi che “pharmakon” significa non solo rimedio ma anche veleno: noi tessiamo la tela che costituisce la realtà sociale e la irrobustiamo proprio nel vivere e nel produrre incapaci di tagliare qualche maglia nella rete che possa aprire un varco.
I limiti dell’analisi di Marx
Se l’analisi del filosofo di Treviri rappresenta per Romano Màdera «una perfetta diagnosi, una mediocre prognosi, una terapia inconsistente» può il lavoro di Madera essere una valida e risolutiva terapia?
Ora se attardarsi nel gioco junghiano della sabbia è proficuo per il paziente nel lettino, non pare trasformativo dei rapporti sociali infatti a Màdera non sfugge “la disperazione dei poveri del mondo e il disagio delle popolazioni sopra il livello di sussistenza”.
Sì: non è un mondo tra i migliori possibili. Un po’ di utopia, please. Ne abbiamo bisogno più del pane.
L’articolo Màdera: sconfitta e utopia è già apparso su Il Corriere Nazionale.