Del 23 Marzo 2024 alle ore 09:00
di Salvatore Maria Mattia Giraldi
Sono passati più di una ventina d’anni dalla riforma che ha cambiato dalle radici la scuola italiana, si è passati da un modello di scuola accentrata e statalista alla scuola dell’autonomia che già negli anni Sessanta del Novecento si era affermata nel Belgio e nei Paesi Bassi; solo negli anni Ottanta questo nuovo modo di guardare alla scuola cominciò a svilupparsi nel resto d’Europa, inteso in genere quale trasferimento limitato di competenze, come in Francia e nel Regno Unito.
Le politiche di autonomia scolastica si diffusero un po’ ovunque, anche nei Paesi nordici, negli stati Baltici e nei Paesi dell’est con lo smantellamento del blocco egemonizzato dall’ex Unione Sovietica. Il decentramento ha poi ricevuto un forte impulso dalla sottoscrizione del trattato di Maastricht (1992), così tale modello di gestione si è un po’ diffuso in tutta Europa.L’autonomia finanziaria e di gestione oltre a quella didattica e di ricerca ha determinato la nascita della scuola azienda, fatta di progetti e rapporti di interscambio col territorio; il preside è diventato dirigente scolastico e i docenti hanno visto lentamente ridurre la loro autorevolezza.
Oggi si è tornati a parlare nuovamente di autonomia scolastica a causa delle proteste dei mesi scorsi sulle misure di dimensionamento scolastico che porteranno molte scuole ad essere aggregate e a perdere la loro autonomia a causa della diminuzione della popolazione scolastica italiana e della crisi che ha imposto, con il PNRR, la diminuzione delle spese di gestione. L’autonomia scolastica ha portato in questi anni sicuramente innovazione didattica e formativa: le scuole si sono aperte, con il curricolo dell’autonomia, verso il territorio anche con i percorsi di alternanza, oggi PCTO, ma se i lati positivi sono stati diversi non sono mancati anche i negativi e su questi ci soffermeremo. Col tempo i progetti finanziati dalla UE e le molte attività esterne alla scuola hanno tolto diverse ora alla didattica in aula ed il processo di apprendimento ne ha inevitabilmente risentito; si è dato molto peso alle competenze, dimenticando che per poter sviluppare adeguate competenze vi deve essere prima l’acquisizione di una solida base di conoscenze.La scuola ha sempre più marginalizzato il ruolo del docente che è diventato un semplice mediatore culturale mentre il ruolo educativo, fondamentale per la strutturazione umana e sociale della persona, è stato molto trascurato; di recente per ovviare a queste mancanze si è introdotta l’educazione civica quale percorso trasversale a tutte le discipline, ma di fatto, per come è stata pensata e gestita, poco incide sulla reale formazione degli alunni.
Di contro la scuola-azienda ha messo sempre più al centro l’utente ossia gli alunni e i genitori, creando una sorta di sbilanciamento ai danni della funzione docente, sempre più dequalificata dal contesto. In alcuni casi le famiglie hanno assunto addirittura un ruolo prevaricatore e delegittimante nei confronti delle valutazioni fatte dai docenti.
Ma quale è il prodotto dell’azienda scuola?Verrebbe spontaneo dire la formazione di un futuro cittadino preparato, autonomo e consapevole, ma l’uomo non è un prodotto. L’autonomia ha richiesto la promozione della scuola- azienda attraverso attività di orientamento indirizzate verso gli alunni della secondaria di primo grado per incentivare le proprie iscrizioni; si è creata una sorta di contesa degli alunni tra le varie realtà scolastiche del territorio: è il numero degli alunni che garantisce il mantenimento dell’autonomia di gestione ed anche delle retribuzioni più alte ai dirigenti che amministrano una realtà scolastica demograficamente cospicua.
La maggior parte dei dirigenti non vuole che si adottino da parte dei docenti o dei consigli di classe delle valutazioni oggettive degli alunni, perché se si spargesse la voce che i docenti sono esigenti ci sarebbe una drastica riduzione delle iscrizioni. Inoltre, a dire di alcuni dirigenti, se gli alunni non hanno raggiunto un certo livello di profitto la responsabilità ricade sempre sui docenti che non hanno trovato o adottato le strategie giuste, eppure sembra sfuggire che lo studio è fatto, in particolare per i ragazzi più grandi, anche di rielaborazione autonoma dei contenuti e dei processi appresi a scuola ed è soprattutto individuale.
Sorgono spontanee alcune osservazioni: come fa il docente a far sentire la sua autorevolezza, in un contesto che lo ha messo da tempo ai margini e di cui gli alunni sono consapevoli, per farsi ascoltare da studenti che definire vivaci in alcuni contesti spesso è un eufemismo. Oggi poi si parla tanto di inclusione ed in base alle normative è diventato quasi impossibile lasciare un debito o, nei casi estremi, bocciare e questo gli alunni lo sanno ed il loro impegno a scuola in diversi casi è ridotto al di sotto del minimo.
La situazione diventa ancora più difficile per i docenti quando si svolgono le Prove Invalsi, le quali a volte sono sganciate dai reali programmi svolti in classe e quindi sono poco comprese dagli alunni; accade così che gli esiti delle prove spesso sono negativi e indirettamente viene dato un giudizio negativo sull’operato dei docenti che ancora una volta si ritrovano colpevolizzati e non considerati da un sistema che non ha compreso o che non ha una visione globale di problemi interconnessi.
Un grande problema, specialmente in alcuni istituti dove già vi sono problemi sociali e di integrazione, è l’allentamento del controllo sul rispetto delle regole che spesso rende i docenti meno determinati vittime dei comportamenti irrispettosi e aggressivi di alcuni allievi. Ma spesso questi studenti, in un sistema permissivista, lungi dal ricevere le opportune sanzioni disciplinari si ritrovano attribuito dal consiglio di classe nove in condotta, in spregio agli attacchi subiti dal docente vittima, come ci hanno attestato recenti fatti di cronaca.
Come è possibile questo, la risposta è semplice: il consiglio di classe ha applicato i descrittori della griglia sul comportamento, come vuole un sistema burocratico asettico. Quando purtroppo accadono queste cose la scuola viene snaturata e perde ogni valore educativo e formativo.Non bisogna lamentarsi poi se la violenza dilaga tra i giovani, perché abbiamo creato un sistema disorientante, malato e schizofrenico: non c’è meritocrazia per chi studia né punizione per chi commette illeciti.
Naturalmente queste situazioni sono diffuse soprattutto in quelle istituzioni scolastiche dove c’è una scarsa coesione tra docenti e poca disciplina e rispetto da parte di più soggetti, anche interni alla scuola, verso i ruoli e le funzioni di chi educa.
L’articolo La deriva aziendale della scuola è già apparso su Il Corriere Nazionale.