Del 21 Marzo 2024 alle ore 14:03
Philopoiesis è un testo di riflessioni sul tempo nella vita personale di ognuno e nell’elaborazione filosofica, letteraria e del pensiero scientifico.
Dopo i maestri del sospetto qual è lo status del ‘cogito, ergo sum’ cartesiano, ‘dell’io assoluto’? L’io, il soggetto, è (per dirla non Nietzsche) una favola, una finzione, un gioco di parole. Come raccontare questa favola a iniziare dal soggetto, attraverso la storia di questo e dell’altro?
Per questa ragione le seguenti note assumeranno la forma del frammento: una scelta di per sé esplicativa che, nello stesso tempo, serve anche a rilevare l’esigenza di un nuovo dispiegamento.
L’io e l’altro: in Schutz e Sartre
I temi, sottintesi e in parte richiamati, sono la teoria della ‘situazione emotiva’ e della ‘comprensione’ in Sartre e Heidegger, il tema dell’ ’io – altro’ e dello ‘sguardo’, l’attualità della fenomenologia husserliana, il tempo in Bergson, Proust, Heidegger, il soggetto e la sua crisi, l’intersoggettività’ e il ‘mondo ambiente’.
Per parlare ‘dell’io’ si può partire anche dalla teoria ‘dell’altro’ sartriano criticata dal fenomenologo Schutz “il cui pensiero è relegato al terreno metafisico–ontologico- filosofico da Parson” che vede l’austriaco “muoversi su un piano eminentemente filosofico”. Si può forse affermare che Schutz riflette in ambito filosofico e che una lettura unicamente in chiave sociologica può non restituire la valenza del suo pensiero.
L’altro per Schutz
“ ‘L’altro’ sartriano, per Schutz, rivela la sua qualità di soggetto nella sua possibilità di trasformare ‘me’ in oggetto, in un utensile attraverso cui agire: guardandomi limita la mia libertà, definisce ‘me’ e la situazione.
Ora ‘io’ posso oggettivare ‘l’altro’, trasformarlo in uno strumento per le mie azioni. Oggettivando ‘l’altro’, riguadagno la mia soggettività e il ’self’, divengo ancora un ‘self’: il mio ‘self’.
Non di meno, ‘l’altro’ è un oggetto per me nella misura in cui io sono un oggetto per lui ”. Nella teoria sartriana ’dell’‘altro’, “una relazione tra l’io-soggetto’ e ‘l’altro-soggetto’ è impossibile.
Sartre dà per scontata l’intercambiabilità delle esperienze reciproche ‘dell’io’ e ‘dell’altro’. Non riesce a uscire dal solipsismo, non spiega come sia possibile la comprensione, l’agire, l’interazione ”‘L’altro’ come ‘essere-non me’, “non deve essere afferrato come oggetto delle nostre cogitazioni ma nella sua esistenza per noi, come qualcosa che riguarda il nostro essere reale e concreto, non deve essere concepito come ‘non-me’”
Questa è una negazione interna: è una connessione tra due termini ciascuno dei quali costituisce se stesso negando l’altro”.
Sartre trascura il problema del nostro essere nel mondo sociale cioè della “comprensione concreta” ‘dell’altro’ la cui esistenza è data per scontata.
Mentre ciascun soggetto per agire, per realizzare i propri progetti deve definire la situazione della quale fanno parte gli altri con i loro progetti. Ciascuno così deve venire a patti con gli altri, i loro punti di vista e significati: ciò implica l’assunzione ‘dell’altro’ come ‘alter-ego e la ‘we relation’ “.
Il soggetto, il ricordo, il tempo e le emozioni in Marcel Proust
Insieme al soggetto, ricordo, il tempo e le emozioni intrecceranno un dialogo e saranno protagonisti dì ” Alla Ricerca del Tempo Perduto”. Ascoltiamo Marcel Proust: “Portai alle labbra un cucchiaino da tè in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato trasalii… Un piacere delizioso… mi aveva subito reso indifferenti le vicissitudini della vita… la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio questa non era in me, era me stesso. Donde mi era potuta venire quella gioia violenta? Che significava? Dove afferrarla? La verità che cerco non è nella bevanda, ma in me… mi rivolgo al mio animo. Spetta a esso trovare la verità. Ogni volta l’animo nostro si sente sorpassato da se medesimo, quando il ricercatore è al tempo stesso anche il paese tenebroso dove” cerca e “dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla”.
Ci chiedamo allora: Cercare? C’è un’unica risposta “non soltanto ma creare” infatti con Proust “Chiedo al mio animo… di ricondurmi alla sensazione che fugge… sento in me trasalire qualcosa che si sposta… che si è disancorata a una grande profondità… il ricor-do… legato a quel sapore tento di seguirlo fino a me… l’attimo antico che l’attrazione attimo identico è venuta a richiamare… a sollevare nel più profondo di me stesso… a un tratto il ricordo m’è apparso…quel sapore era… il pezzetto di madeleine che la zia Leonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio.
Quando niente sussiste di un passato antico, dopo la distruzione delle cose… più vividi, più immateriali, più fedeli, l’odore e il sapore… portano, sulla loro stilla, l’immenso edificio del ricordo”.
I ricordi di Ronquetin
Ronquetin dice: “costruisco i miei ricordi… gli oggetti sono cose che non dovrebbero commuovere poiché non sono vive, ci si serve di loro… sono utili, niente di più”.
In Proust gli oggetti sono utili al ricordo, a ricostruire e costruire il ‘sé’ e il ‘reale’… ma non è sempre possibile mantenere la propria esperienza a questo livello, ci sono le emozioni” che fanno “venir meno quella prospettiva stabile che le nozioni abituali degli oggetti concorrono a costituire”.
La condotta emotiva
Il mondo dei nostri desideri, l’Umwelt, la condotta emotiva destruttura la realtà, fa sparire ogni tracciato, trasforma la realtà in un qualcosa di indifferenziato mediante la degradazione della coscienza come quando si guarda da molto vicino un quadro: gli elementi di esso risultano destrutturati, disposti indifferentemente su uno stesso piano, un insieme confuso di macchie e linee.
Il Dasein di Heidegger e la duréé
Se sul sito dell’Università di Pisa leggo un nome e tutto un mondo mi si ripresenta alla mente come la ’madeleine’ della Recherche di Proust, se mi ritrovo in via S. Maria: chi sono io?
‘La carta per terra’ mi fa vivere l’esperienza della ‘nausea’ di Ronquetin o quella della ‘madeleine’ di Proust? O, forse, non vado oltre la ‘madeleine’ giacché io sono lì presente “in carne e ossa ed esperienze di vita”? E non ricordo soltanto ma rivivo l’Erlebniss?
Come dice Schutz “io vedo me in ciascuna esperienza parziale, rivolgendomi alla mia storia passata vedo aspetti diversi e discontinui e quindi differenti personalità e ritengo che ciascuna sia l’io che ero io. Nella memoria di ognuno, la propria vita passata è discontinua: vengono ricordati frammenti di vita. Colui che viene ricordato è un’altra persona, è un me già divenuto… il senso varia in funzione del tempo vissuto, della duréé, della propria biografia”.
“Contare i fili d’erba è inutile, non si arriverà mai e saperne il numero: predomina l’assenza di ‘un sapere certo’, l’instabilità, la casualità” (Calvino).
Il ricordo è costitutivo dell’io e del mondo?
L’articolo Philopoiesis: noi e i ricordi è già apparso su Il Corriere Nazionale.