Del 6 Marzo 2024 alle ore 22:14
Editoriale di Daniela Piesco co-direttore Radici
Francia, 1963. Anne, giovane studentessa universitaria, scopre di essere incinta. Inizia così la sua odissea per tentare di interrompere la gravidanza, in un paese che persegue penalmente l’aborto. Questo il soggetto della pellicola francese “L’Événement” (2021), diretta da Audrey Diwan, che ripercorre tutto il tormentato processo, scandito dalle settimane che passano: dalle vane richieste di aiuto presso medici che, fermamente contrari alla pratica, prescrivono ad Anne medicine in grado di rafforzare il feto mascherandole per iniezioni abortive, al disperato e inefficace tentativo della protagonista di procurarsi un aborto da sé con ferri e acqua calda.
Anne è sola in questo calvario. A prevalere sono la stigmatizzazione, il giudizio e il rifiuto da parte delle poche persone a cui confessa, nell’incerta speranza di trovare aiuto, la propria situazione. Al limite della dodicesima settimana di gravidanza, quando la situazione sembra ormai spacciata, riesce ad ottenere da un amico il contatto di una donna che effettua clandestinamente l’aborto. Decisa, Anne vende i suoi libri per potersi pagare una procedura che, praticata in tali condizioni, potrebbe mettere a rischio la sua stessa vita.
La nota più potente del film, il cui titolo è significativamente tradotto “La scelta di Anne”, è senza dubbio il profondo e disperato senso di solitudine che avvolge la protagonista, accompagnandola non solo nelle scene in cui è fisicamente sola, ma anche e soprattutto quando è circondata da persone. Si avverte il suo senso di asfissia. E così, chi guarda non può che provare empatia per la protagonista, partecipando alla sua sensazione di preoccupazione, angoscia e a tratti di soffocamento.
«Un giorno mi piacerebbe avere un figlio, ma non a costo della mia vita. Odierei questo bambino adesso», dice al medico che la invita ad arrendersi alla situazione in cui si trova.
L’Événement è un film quanto mai attuale. A ricordarcelo è la scritta comparsa sulla tour Eiffel “Mio il corpo, mia la scelta”.La Francia, infatti ,diventa il primo Paese al mondo a iscrivere esplicitamente il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza in Costituzione. . La Tour Eiffel ha cominciato a scintillare per celebrare l’evento, mentre si illuminava la scritta sulla torre “Mon corps, mon choix”, “Mio il corpo, mia la scelta”.
Ma qual’e’ la situazione nel resto d’ Europa?E nel mondo?
Nel nostro ordinamento, la materia è disciplinata dalla legge n. 194 del 1978 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”), con la quale fu legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Prima di questo momento, l’aborto costituiva reato punito con la reclusione da 2 a 5 anni . È stato solo grazie a movimenti sociali e politici19 che hanno riconosciuto e denunciato l’incancellabile realtà degli aborti clandestini, praticati da moltissime donne in condizioni di precaria sicurezza e spesso forieri di complicazioni e seri rischi, in certi casi fatali, per la salute della donna , che sono state poste le basi per la legge sull’aborto tutt’oggi in vigore.
Raccontando gli strazianti tentativi di aborto di una ragazza francese negli anni Sessanta, “L’Événement” restituisce uno spaccato impietoso di quella che, ancora oggi, è la realtà per milioni di donne: una realtà ben lungi dall’essere superata.
Ebbene il discorso sull’aborto non può prescindere dal vissuto della donna che si trova davanti a una tale scelta, In generale la società dovrebbe essere consapevole che la dignità di ogni donna risiede (oltre che nell’essere portatrice di vita)anche nell’opportunità di interrompere la vita . Invero verso l’aborto, è impossibile assumere una posizione netta. Forse l’unica risposta possibile è che le donne dovrebbero essere istruite, educate e messe nella posizione di non dover fare certe scelte o quantomeno di farle in maniera informata e consapevole. In alcuni contesti e con determinate condizioni non si può parlare di aborto come male minore ma come unico bene possibile.
Ma la “Legge 194”, a più di quarant’anni dalla sua entrata in vigore, continua a manifestare gravi carenze attuative , che risentono della difficoltà a bilanciare i diversi interessi in gioco. In questo senso, se è chiaro che il diritto all’obiezione di coscienza va riconosciuto e tutelato , sempre che la scelta del medico sia e ettivamente rispondente a coscienza, e che non si tratti di una «scelta di comodo, è altrettanto innegabile che l’esistente asimmetria fra medici obiettori e non obiettori orienta l’attuazione della legge tutta a danno dei principi di dignità, salute e autodeterminazione della donna, pregiudicandone de facto il diritto all’accesso all’interruzione di gravidanza .
Ecco che si coglie come quella dell’aborto costituisca anche una rilevante questione di genere, e come i logoranti ostacoli e le sofferenze ad esso connessi rappresentino in qualche modo una ‘pena’ che le donne devono scontare: una sorta di contrappasso per la scelta di abortire . In questo senso è evidente che, da questione bioetica, quella dei diritti riproduttivi si espande trasversalmente a questione di genere che colpisce più duramente le donne appartenenti alle classi meno privilegiate e in condizioni di povertà, e che va osservata, pertanto, con un approccio intersezionale.
Perché garantire un aborto libero e sicuro vuol dire soprattutto garantire la salute materna prevenendo i tanti esiti negativi di aborti condotti senza le adeguate precauzioni, come per esempio l’infertilità. In Italia la salute riproduttiva della donna viene garantita sulla carta dalla legge 194 del 1978. Ma capire in quale misura questa legge viene applicata non è semplice perché mancano dati aperti e intelligibili. Ogni anno il Ministero della salute redige un report sulle interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) che però restituisce una fotografia sfocata della situazione italiana. Emerge una marcata differenza regionale sul tasso di abortività e anche sulla percentuale di medici obiettori sebbene servirebbero ulteriori dati per sapere, ad esempio, se le donne sono costrette ad andare in un’altra Regione per abortire oppure se vengono ancora eseguiti aborti clandestini merito all’obiezione di coscienza. Un’alta percentuale di medici obiettori spesso comporta un maggior carico di lavoro per chi non fa obiezione spingendo molti medici a dichiararsi obiettori per evitare di finire a praticare solo Ivg. Il fatto che nell’obiezione di coscienza siano coinvolti anche aspetti organizzativi non può che far pensare che esista la possibilità per i decisori sanitari di fare delle scelte per arginare il problema. Ma l’obiezione di coscienza non è l’unico ostacolo. Ci sono altri due aspetti fondamentali previsti dalla 194 che non vengono però garantiti in Italia: l’informazione sui metodi, sui vantaggi e gli svantaggi dell’aborto farmacologico e di quello chirurgico, e l’accesso all’aborto farmacologico in regime ambulatoriale. Aspetti tecnici, ma prioritari per dare più possibilità di scelta alle donne nel rispetto e nella promozione della loro salute.
pH Fernando Oliva
L’articolo Mio il corpo, mia la scelta è già apparso su Il Corriere Nazionale.