Del 4 Marzo 2024 alle ore 09:56
Le spese familiari di mantenimento e di accudimento sono importanti ma vanno inserite in un quadro più ampio di riferimento, dove il “bilancio” diventa anche scelta esistenziale, etica e sociale
Il costo dei figli è un dibattito che accompagna la questione denatalità da almeno quarant’anni. Da quando, cioè ci siamo accorti che il numero dei bambini nati cominciava a declinare dopo il boom degli anni Sessanta e gli esperti (pochi in realtà a quell’epoca, la metà degli anni Novanta) si interrogavano sulle ragioni di quella flessione. Da qui la facile associazione di causa-effetto: nascono pochi bambini perché costa tanto mantenerli. O, al contrario, visto che costa tanto mantenerli, ne nascono sempre meno. In realtà la questione è ben più complessa.
Innanzi tutto sarebbe limitante, quando si parla di costo, riferirsi soltanto al dato economico. L’etica antropologica ci suggerisce un dato di realtà forse un po’ offuscato dalla cultura dominante: prima di essere costo, un figlio è investimento a vasto raggio che riguarda il piano esistenziale, quello simbolico-relazionale e quello generazionale. Tradurre questa complessità in un prezzo da pagare, in un dato monetario risultato della somma di quanto versato per l’asilo nido, più l’alimentazione, più i vestiti, più il pediatra e tanto altro ancora rischia di far perdere di vista la questione principale, cioè quella umana, che non può essere affrontata soltanto sulla base di quanti soldi siano necessari per mettere al mondo un figlio, per crescerlo e avviarlo all’età adulta.
Perché, ragionando solo in un’ottica economica, accanto ai costi – che possono essere più o meno valutati anche se con proiezioni non sempre esatte – dovremmo considerare anche i guadagni, cioè i benefici. E chi può dire quanto farà “guadagnare” un figlio alla coppia che l’ha accolto e poi alla società in cui sarà inserito? Tanto, certamente. Anzi, tutto. Perché l’intreccio stesso delle generazioni è radice e futuro della civiltà. E senza figli non c’è altro futuro se non l’estinzione. Ecco perché la scelta di avere o meno figli non può essere subordinata soltanto a calcoli di bilancio e di convenienze. Non può dipendere dalla domanda su chi e come si farà carico di soddisfare economicamente i bisogni materiali e immateriali dei figli. Non sono questioni irrilevanti, certamente.
Da sempre le famiglie non dimenticano che un figlio in più o uno in meno va inserito in un ragionamento in cui la “capacità di spesa” non è una voce trascurabile anche se, in una prospettiva di equilibrio valoriale, non può essere l’unica voce, e neppure quella decisiva. Per sostenere questo sguardo dobbiamo però affermare una cultura familiare in cui il problema delle “bocche da sfamare” sia inserito in un quadro più ampio. Una visione in cui i concetti di “costo” e di “valore” di un figlio possano essere intesi come risultato di una progettualità non solo familiare, ma anche sociale, anche politica. Per troppi anni coloro che si sono avvicendati alla guida del Paese, di entrambi gli schieramenti, si sono illusi di poter riempire le culle lasciate vuote dalle coppie italiane con i figli degli immigrati. Come se quei piccoli, già nati e cresciuti, avessero un “costo” inferiore per le loro famiglie e per la comunità, ma offrissero identici vantaggi in termini di copertura del welfare e del mercato del lavoro.
Da almeno un decennio hanno, e abbiamo, compreso che il calcolo era fallimentare. Se è vero che ci sono altre vie per aprire le porte a nuove presenze – peraltro neppure queste davvero sostenute, come nel caso dell’adozione internazionale – la famiglia rimane il paradigma naturale della filiazione. E, al di là di sostegni economici finora risultati di scarso rilievo, accompagnare la formazione di nuove famiglie, incoraggiare le coppie ad assumere scelte di responsabilità, rimane l’unica strada per un cambio strutturale di prospettive.
Oggi abbiamo capito che il “costo” dei figli più, che non una questione di sostenibilità materiale è una variabile psico-culturale. Ma dobbiamo aiutare a comprendere chi è nella condizione di mettere al mondo un figlio e rimanda per timore, per calcolo, perché non se la sente, che il “guadagno” della sua decisione sarà negli anni incommensurabilmente superiore a qualsiasi “costo” economico.
Marcario Giacomo
Editorialista de Il Corriere Nazionale
L’articolo Generazioni. Figli, scelta d’amore, non calcolo economico è già apparso su Il Corriere Nazionale.