Il lavoro che c’è ma non ci sono i lavoratori, è questa una tendenza paradossalmente sempre più diffusa anche in Europa dove la Commissione Europea, in uno studio del dicembre scorso, ha individuato 42 settori in difficoltà. Gli studi di Unioncamere in Italia confermano l’urgenza della crisi che si presenta principalmente dal lato dell’offerta nel mondo del lavoro.
Unioncamere monitora mensilmente l’andamento dei mismatch nel mercato del lavoro e Andrea Prete, il presidente, ha precisato che oggetto di ricerca e analisi è ogni attività lavorativa con un contratto di almeno un mese, pertanto si include anche il precariato.
Prima degli anni della pandemia le imprese lamentavano la carenza di almeno il 25% della forza lavoro richiesta, oggi si è al 50% e per alcuni profili più specializzati si arriva al 60% o anche al 70%, generato dalla mancata risposta alle proposte di selezione delle imprese e dalla mancata corrispondenza dei requisiti dei candidati che si presentano alle selezioni. D’altro lato si ha un’eccedenza di offerta di figure professionali non richieste, dovuta al disallineamento della attuale offerta formativa a livello nazionale.
I profili scientifico-tecnologici continuano ad essere carenti dal lato dell’offerta nel mercato del lavoro anche a causa di denatalità, abbandono scolastico e NEET in crescita. Ad esempio le imprese nel 2023 hanno inutilmente richiesto oltre 47mila diplomati degli ITS Academy, trovandone solo poche migliaia.
I profili difficilmente reperibili sono quelli dell’area elettronica, informatica e meccanica e l’area geografica con la maggiore richiesta è il nord-ovest. Mancano in particolare le competenze digitali trasversali in seguito alla accelerazione delle richieste delle imprese e della Pubblica Amministrazione.
Anche la PA nel prossimo quinquennio avrà bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, ai quali si aggiungeranno le richieste dovute agli effetti “traino” degli investimenti del PNRR nei settori “costruzioni e infrastrutture” (21%), “turismo e commercio” (18%), “servizi avanzati” (16%) e “formazione e cultura” (13%).
Queste le motivazione della riforma che il Ministro dell’Istruzione e del merito intende vagliare: 4+2, con quattro anni di scuola secondaria superiore e due anni negli ITS Academy, considerando gli 1,5 miliardi di euro destinati dal PNRR agli ITS.
Tuttavia, paradossalmente, risultano carenti anche le figure degli artigiani, in particolare nel settore tessile e per la manutenzione ordinaria presso i privati, il tutto è dovuto ad un declassamento e ad un fattore culturale che ha portato a sottovalutarne gli sbocchi occupazionali. Questo fenomeno ben noto altrove in Europa diventa sempre più diffuso anche in Italia.
Si osserva che la denatalità degli ultimi venti anni ha portato ad una riduzione di 2milioni e mezzo circa di lavoratori under 35 e ad un aumento di oltre 3 milioni e 800mila di quelli over 50, un paese che tende ad “incanutirsi” mentre si svuotano i banchi delle scuole al ritmo di 50mila studenti all’anno.
I lavoratori non sono solo uno dei fattori della produzione, sono il sostegno delle varie forme di attività di consumo, risparmio, investimenti, che sopravvivono solo accanto al lavoro retribuito.
Il quarto settore, che include il mercato nero e irregolare e il crimine organizzato, fornisce purtroppo un potenziale d’impiego e in molti Paesi cresce in modo rapido, divenendo fonte di reddito, erodendo i rapporti sociali e portando alla destabilizzazione.
Le previsioni di Rifkin, 30 anni fa, sulla “fine del lavoro” dovuta ad una progressiva espulsione di lavoratori, che il mercato di lavoro non sarebbe stato in grado di ricollocare in altri contesti produttivi, sembrano oggi lontane dal previsto «declino della forza lavoro globale». Restano tuttavia attuali e oggetto di dibattito politico le sue proposte di interventi di impulso al terzo settore, di una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro e per il rafforzamento del sistema di welfare.
Per il terzo settore, o la società civile in cui possono essere valorizzate le abilità, il talento e le competenze delle persone, con attività non profit formali e informali, sorge tuttavia il dubbio che anche il “terzo settore” debba essere retribuito! Si può accettare che un lavoratore occupato ponga in essere comportamenti con utilità sociale positiva ma preoccupa l’attività di volontariato che affianchi la disoccupazione di un capofamiglia attuale o futuro, minacciando la sopravvivenza o la nascita stessa di un nucleo familiare.
Rifkin riporta le riserve di “molti critici progressisti del volontariato”, i quali affermano che “la beneficenza è frustrante per le categorie più deboli, che si sentono oggetto di pietà … (Mentre) I programmi statali, al contrario, partono dal presupposto che il cittadino in stato di bisogno abbia diritto al servizio, non come gesto caritatevole, ma a causa delle responsabilità dello stato di preoccuparsi del benessere generale”.
Un ritorno sempre e comunque all’intervento dello Stato imprescindibile, che miri ad una adeguata programmazione della formazione e per le politiche attive del lavoro, basata su dati puntuali e stime dei fabbisogni occupazionali futuri anche a livello regionale.
L’articolo Mismatch nel mondo del lavoro è già apparso su Il Corriere Nazionale.