Del 2 Marzo 2024 alle ore 17:03

di Riccardo Nobili

In una notte di mezza estate, due storie d’amore (forse più di passione) si intersecano, ma separate da duecento anni.

Abbiamo infatti Madame de T. e il Cavaliere, una coppia del 1700 (tratta dal racconto di Vivant Denon, “Senza domani”), e Vincent e Julie, ambientato nel presente.

La storia si svolge in un castello francese, dove si svolge un convegno di entomologia, e, dove Kundera con straordinaria maestria riuscirà ad alternare le due storie con lo stesso finale.

In realtà i personaggi portati in scena si scopriranno più di quelli citati sopra, avremo tra i tanti: Berck, Immacolata e l’operatore che costituiranno un triangolo d’amore estremamente tossico.

Il convegno (e con esso il romanzo) finisce con la rivelazione dei vizi e delle virtù che l’autore ha affibbiato ai personaggi portati in scena, in un capitombolo di eventi ben lontani da una logica ragionata, sempre più devota agli istinti.

Il tema principale, lo dice il titolo stesso, “La lentezza”. L’autore infatti comincia un flusso di coscienza mentre guidando, osserva un’auto intenta a sorpassarlo.

A questo punto la tematica si infittisce, perché raccontando le vicende dei personaggi, enfatizza il valore della lentezza con Madame de T. che non si concede immediatamente al cavaliere, e con Julie che in parallelo attuerà la stessa tecnica con Vincent, con il fine ultimo di aumentare l’interesse dell’amante.

Entrambe le storie di muovono con lo stesso schema: passeggiano, fanno l’amore in un casinetto, si amano in un boudoir. Questo perché, se nei personaggi femminili Kundera presenta la parte logica, razionale e forse un po’ maliziosa, nei personaggi maschili fa invece risiedere la parte più istintiva. Legandoli tra loro si ottiene la completezza dell’individuo (chiaro e lampante riferimento a Platone).

Tuttavia, si trova una storia altrettanto romantica a mio modesto parere, ma che lascia trapelare il marcio che può risiedere nell’amore, quella tra Immacolata e il suo operatore (due reporter inviati al convegno), in cui la donna, è ancora innamorata di Berck (un famoso entomologo lì presente). Questo siparietto che si viene a sviluppare e che farà tracollare gli eventi di tutti i personaggi, viene mostrato quasi alla fine della storia.

Quì mi tocca fare una piccola premessa, tutto il romanzo è costellato da volgarità, tuttavia a parer mio è la sublimazione del “romanticismo degli istinti”, un tipo di volgarità che, possiamo nasconderlo o meno, appartiene ad un qualsiasi essere pensante.

Di questa volgarità, o se vogliamo “romanticismo degli istinti”, ne da prova Vincent, quando seduto con Julie dopo il primo bacio, si lascia andare in un flusso di coscienza che si interroga sull’intimità della donna; che pur usando espressioni forti come: «Ti sodomizzo» o «tutti vedranno il tuo buco del c*lo», riesce a far trapelare una sorta di affetto giocoso (ed anche teatrale) che Julie accoglie e asseconda.

Parliamo di volgarità vera e propria invece se si guarda la vicenda di Immacolata e l’operatore, Immacolata che riceve il rifiuto da Berck è frustrata, e si accanisce sul suo operatore. A questo punto si vede l’operatore stesso che inveisce con cattiveria nei suoi confronti: «allora hai scopato con uno che ti ripugna, sei questo: una mignotta, una mignotta, una mignotta». Per quanto io ritenga in realtà romantico il contesto tossico in cui si muove la loro vicenda, è innegabile che nell’operatore si trova una cattiveria che lascia trapelare la componente istintiva, volta certamente ad un amore non ricambiato (qui secondo me risiede il romanticismo), ma in un contesto delineato in maniera completamente opposta a quella di Vincent.

A questa scena piena di pathos e teatralità, che si svolge con frenetica velocità nella piscina del castello dopo il convegno, assiste un ricercatore impietrito: Čechořìpsky.

Qui subentra la formula portante del concetto del romanzo, se lentezza=memoria, allora velocità=oblio.

“Quando gli eventi accadono troppo rapidamente nessuno può essere sicuro di niente, assolutamente di niente, neppure di se stesso” dice lo stesso autore commentando la vicenda, e aggiunge: “la nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità”.

A mio modo di vedere le cose, il ricercatore che osserva impietrito, è colui che rappresenta la società di un’epoca che guarda inerme gli eventi che scorrono, troppo contaminati dall’immediatezza.

Siamo fin troppo abituati ad avere tutto e subito, ma è come se una volta avuto quel tanto agognato “tutto”, non sapessimo che farne. Per cui vi sono personaggi come il sopracitato Berck, che svolgono la funzione di “ballerini” (idea sviluppata all’interno del romanzo), coloro cioè, che mirano solo ad apparire e che danzano sulla scena cercando di apparire perfetti, ma che si scoprono essere l’orrore sociale (e al giorno d’oggi non mancano certamente personaggi che lo incarnano alla perfezione).

Un tratto davvero affascinante di questo romanzo, è proprio il titolo che va a creare contrasto con la lunghezza dell’opera stessa. In realtà gli avvenimenti accadono rapidamente, stiamo parlando di un romanzo che conta meno di duecento pagine, ma che per l’intensità delle stesse ti spinge a voler gustare parola per parola ogni avvicendamento. Rendendo in realtà “lento” e intenso il processo di lettura.

In conclusione, “La lentezza” non è un libro che mi limito a consigliare per la sua bellezza (troppa rispetto a quanto chiunque potrebbe descrivere), quanto piuttosto perché in una società drogata dall’immediatezza, potrebbe far rinascere la bellezza dei valori di un’umanità, che andando troppo veloci, abbiamo dimenticato nell’oblio.

Riccardo Nobile

 

 

L’articolo La lentezza” (un valore perduto) è già apparso su Il Corriere Nazionale.

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