Riportiamo la recente intervista integrale allo sportivo Bruno Cerella, a firma Giulia Piscina per Forbes Italia, magazine Small Giants, gennaio 2024!
di Mirko Crocoli
Sono tante, e spesso di successo, le storie di grandi sportivi che terminano la propria carriera per poi cimentarsi in altri settori, e quella di Bruno Cerella, classe ‘86 – cestista argentino con cittadinanza italiana, ma imprenditore da oltre un decennio – è particolare, se non unica.
Il talento e la personalità in campo, come ala piccola e guardia, gli hanno concesso di raggiungere i livelli più alti della Serie A di basket italiana. Con la divisa biancorossa dell’Olimpia Milano ha vinto due scudetti, due coppe Italia e una Supercoppa, per poi passare alla Reyer Venezia, dove si è aggiudicato una Coppa Italia e una Fiba Europe Cup. Oggi sta concludendo il suo percorso agonistico con i Blu Basket, a Treviglio, nel Bergamasco. Un viaggio intenso cominciato nel settembre del 2004, quando il diciottenne Cerella arriva in Italia, grazie a suo nonno Domenico, di origini italiane, che gli fece avere il passaporto.
Una celere ascesa, di club in club, per approdare alla massima serie, rimanerci a lungo e lasciare il segno, senza oltretutto attendere l’apice della sua affermazione per pensare al ‘mismatch’ col futuro, insieme a fidati collaboratori e dietro preziosi consigli di una famiglia già navigata nel mondo dell’impresa.
Poco più che ventenne si getta a capofitto in progetti edili e benefici che oggi hanno come matrice principale la società di real estate Vivir Dc, già nota per le sue costruzioni nel territorio milanese. Una nuova avventura che comunque non fa dimenticare al cestista tutto il suo amore per lo sport.
Cosa ha significato quel passaporto italiano?
Quel passaporto italiano che mio nonno Domenico mi regalò il giorno del mio tredicesimo compleanno è stata la chiave per avere l’opportunità di giocare a pallacanestro in Italia. Vivere un’esperienza lontano da casa ti forgia.
Quando sono stato chiamato da un procuratore argentino per venire in Italia a 18 anni appena compiuti avevo la cittadinanza in mano. Questo mi ha permesso di prendere quell’aereo velocemente e di poter percorrere la mia formazione a livello giovanile, per poi proseguire in tutte le categorie fino ai massimi livelli.
Oggi è in forza a Treviglio. È stato, tra le altre, protagonista a Venezia. Confessa però di avere un grande amore per Milano. Perché?
La squadra di Milano e gli anni dell’Olimpia sono stati i più importanti dal punto di vista cestistico e i più forgianti nella mia crescita personale, anche al di fuori del campo. Milano mi ha permesso di realizzare il sogno di vincere campionati ed entrare a far parte di grandi squadre costruite per vincere, giocando anche nelle più prestigiose competizioni internazionali, quale l’Eurolega.
Mi sono divertito e ho vinto tanto, ma la cosa migliore sono i rapporti umani che ho instaurato in questa città, e che mi hanno permesso, quando ho iniziato a pensare alla vita al di fuori del campo, di sceglierla come la mia città in Italia e di sviluppare dei business che mi permettessero di avere qualcosa di concreto in mano al di là della carriera sportiva.
Lei ha iniziato precocemente a gettare le fondamenta del suo futuro. È tutto ‘cemento’ del suo sacco o qualcuno l’ha indirizzata in questa strada?
Sono la terza generazione di una famiglia di costruttori, partendo da quella di mio nonno spagnolo arrivato in Argentina all’inizio del ‘900. Subentrò poi mia madre con un’agenzia immobiliare e impresa edile. All’età di 25 anni ho chiesto proprio a lei di darmi una mano a comprendere come muovermi per fare i primi investimenti in territorio italiano.
Durante la carriera sportiva sono sempre stato curioso. Ho avuto in mano la gestione delle mie finanze e del mio portafoglio. Ho una visione imprenditoriale dentro di me che mi ha permesso di fare i primi passi con molto coraggio in un Paese straniero.
Il fenomeno del gender gap è ancora molto diffuso. Quanto è importante per lei valorizzare l’impresa al femminile?
Io vengo da una famiglia in cui mia madre è stata un punto di riferimento nel settore imprenditoriale, è sempre stata una mia consigliera. Ho quattro sorelle, quindi ho un rapporto bellissimo con le donne.
Quando ho cominciato il mio percorso extra sportivo ho pensato che avrei voluto fortemente consolidare questa componente femminile nella mia vita privata anche all’interno del business che stavo sviluppando. Lo ritengo importante per diversi motivi, ma credo che le donne abbiano una sensibilità differente e siano dotate di grandi capacità. Di recente abbiamo creato un’agenzia immobiliare interamente gestita da donne, si chiama Brik MiUp. Brik, come mattone, Mi come Milano: è un gioco di parole tra bring me up e brik me up.
Qual è il focus della sua attività imprenditoriale e che cosa significa per lei fare impresa in Italia?
Ho avuto la fortuna di incontrare il mio socio, Giancarlo Di Giuseppe, che ritengo essere la mia forza. Con lui abbiamo coltivato una visione che è poi diventata una missione. Nasce Vivir Dc con la volontà di creare un progetto sostenibile, non solo limitandoci a riqualificare la città dal punto di vista urbanistico e architettonico, ma creando valore attraverso i nostri progetti, ossia una visione che non tende al concetto ‘finito’ degli utili delle operazioni, ma punta a qualcosa di ben più ampio.
Non è cosa fai, ma come la fai. Alla base di questo progetto ci sono i nostri valori, scegliamo con cura le persone con cui collaboriamo. Vogliamo provare a fare un business moderno, dinamico e flessibile, perché siamo in un periodo altamente mutevole, oltreché consapevoli che bisogna adattarsi velocemente. Vengo dall’Argentina, dove la mia famiglia, anche col 150% di inflazione all’anno, è riuscita a fare impresa. Ritengo che in Italia ancora si possa fare imprenditoria, soprattutto perché il sistema finanziario continua a mostrare maggiore stabilità rispetto ad altri Paesi.
Nel suo percorso non c’è solo l’impresa, ma anche tanta voglia di dare indietro. Tra i progetti benefici anche Slums Dunk, che oggi è in quattro continenti.
Slums Dunk nasce con la voglia di ridare qualcosa indietro allo sport. All’età di 23 anni, insieme all’amico Tommy Marino, abbiamo fatto un viaggio in Kenya. Abbiamo giocato a basket nelle diverse baraccopoli. Quando siamo rientrati abbiamo deciso di trasformare questa esperienza in un progetto concreto, che portasse valori e opportunità nella vita delle persone attraverso lo sport.
In ogni parte del mondo collaboriamo con associazioni che si occupano di salute ed educazione scolastica. Il nostro obiettivo non è cercare talenti, ma creare un ponte per allontanare ragazzi e ragazze dalla prostituzione, dalle droghe, dalla criminalità e avvicinarli ad un’educazione completa. Siamo presenti in quattro continenti, perché la nostra missione è quella di accorciare le distanze culturali.
Ad oggi abbiamo 105 giovani con borse di studio per merito sportivo e questo ci riempie il cuore, considerando che la maggior parte di loro non potrebbe permettersi di continuare un percorso scolastico al di là della primary school. Vogliamo creare delle vere e proprie academy, formando allenatori, costruendo campi e creando attività sostenibili nel tempo.
Lo sport è la filosofia delle sue attività imprenditoriali?
Per me lo sport è stato un meraviglioso strumento. Mi ha portato a vivere tutte queste esperienze, dall’essere qui in Italia allo sviluppare un’associazione come Slums Dunk, fino a creare il mio mondo imprenditoriale attraverso una fitta rete di persone scelte. Quindi devo dire che sono fortunato ad aver vissuto lo sport in questo modo e di essere arrivato ad altissimi livelli.
Mi sono spaccato (in tutti i sensi, anche fisicamente) per arrivare qui, credendo nella costanza e nella dedizione al lavoro e non solo nel talento che mi ha dato la natura. Sto facendo lo stesso a livello imprenditoriale. Ho sempre pensato che i piccoli passi portino a creare qualcosa di stabile. Non c’è niente di più bello e prezioso di scegliere le persone con cui collabori in base ai tuoi valori: questo determinerà la qualità del lavoro e il successo di ciò che costruisci.
Il suo è un definitivo addio al basket?
Sono proprietario della palestra M4 Training, un concept che tende a replicare l’allenamento di noi atleti, aperto a chiunque. Quindi sala pesi con personal trainer e campo da pallacanestro. Abbiamo voluto creare un luogo di qualità e non di massa. Questo di certo resta un filo conduttore con la pallacanestro insieme a Slums Dunk, a cui continuerò a dedicare il mio tempo.
Dopodiché non so cosa mi porterà il futuro, ma per ora non vedo un Bruno allenatore o manager e le dico anche perché: mi ero ripromesso che a carriera finita sarei stato padrone del mio tempo. Dopo 20 anni di pallacanestro professionale vorrei dedicarmi a famiglia e amici, viaggiare e godermi l’altra parte della vita. Forse rileverò una squadra e la farò crescere con me.
Sportivo, imprenditore, attivista. In questi intensi anni sono nati altri interessi inaspettati?
L’arte è una cosa che mi appassiona. Mi incuriosisce, non sono un grande intenditore, non mi posso considerare tale. Però sto coltivando questo interesse.
Ho fatto amicizia con tanti artisti, ognuno di loro mi ha regalato delle esperienze diverse, delle conoscenze diverse, quindi pian piano ho cominciato a inserire l’arte anche all’interno dei miei progetti residenziali. Ogni condominio sarà personalizzato con un’opera d’arte, perché ritengo che l’arte, come lo sport e la musica, sia un potente amplificatore di idee.
Nuove costruzioni, nuove opportunità. Che cos’ha in cantiere per questo 2024?
Ho tanti propositi, ma il primo sarà quello di godermi gli ultimi mesi della mia carriera sportiva. Dovrò trovare nuovi equilibri emotivi oltre lo sport, dopo vent’anni la mia vita cambierà. Mi auguro che le persone che ho accanto mi aiuteranno.
Daremo inizio a quattro nuovi cantieri in diverse zone di Milano, sono molto entusiasta. Fisso spesso lo skyline milanese e cerco nuove gru, perché è lì che si intravede il fermento del futuro. Immagino così la mia vita al di là del campo: tempo per i miei affetti, tanta ambizione e nuovi orizzonti.
L’articolo 20 anni di successi, ma anche impresa e benefico. Il cestista Bruno Cerella si racconta a Forbes è già apparso su Il Corriere Nazionale.