Del 13 Febbraio 2024 alle ore 09:07
di Carlotta Mantovani
“La stragrande maggioranza di coloro che pensano al suicidio in realtà desiderano vivere, ammesso che qualcuno riduca il loro livello di sofferenza mentale; se si agisce in tal senso la prevenzione diventa possibile”. Queste le parole del Professor Maurizio Pompili, direttore della UOC di Psichiatria al Sant’Andrea di Roma, docente di Psichiatria all’Università La Sapienza nonché uno dei massimi esperti di suicidio a livello internazionale.
Chi medita di togliersi la vita ha bisogno di vicinanza, di empatia; l’aiuto e l’attenzione di una persona cara a certi segnali possono risultare estremamente importanti per scongiurare l’esito più nefasto. Benché in questi casi il ricorso a uno specialista sia essenziale, il Professor Pompili spiega il modo in cui ciascuno di noi può adoperarsi per sostenere chi versa in condizioni tali da considerare la propria esistenza un peso insopportabile, un sostegno più che mai essenziale se si pensa che ogni anno in Italia i suicidi sono circa quattromila.
Anche chi pensa al suicidio vuole vivere
Comunemente si tende a pensare che solo le persone affette da gravi problemi psichiatrici arrivino a togliersi la vita, ma la realtà è molto più complessa; ogni storia è unica, e certe circostanze ed eventi possono gettare in un tunnel doloroso dal quale non sembra esserci via d’uscita. A tale riguardo Pompili fa chiarezza, spiegando come il suicidio sia “un fenomeno multifattoriale che deve essere letto nella dimensione di ciascun soggetto, della sua storia, nell’ambito di eventi passati e recenti. Il suicidio è il risultato di un complesso intreccio di fattori psicologici e biologici. Nella trattazione del suicidio la parola chiave non è “morte”, piuttosto dolore psicologico che se alleviato permette all’individuo di vivere. Accanto a questo dolore parliamo spesso di uno stato perturbato per intendere un sovvertimento estremo dell’equilibrio emotivo”.
Il Professore precisa come nello stato perturbato la persona perda i propri punti di riferimento vivendo una condizione di smarrimento, sfiducia, disperazione e sovvertimento emotivo, perdendo conseguentemente le proprie sicurezze. A questo punto il pensiero riconosce solo due possibilità: “risolvere immediatamente il dolore (soluzione magica), oppure suicidarsi”.
Tuttavia, l’aspetto importante rimarcato da Pompili è che “i soggetti a rischio conservano spesso la possibilità di comunicare la propria sofferenza, ma lo fanno in modo indiretto e non sempre facile da identificare; vogliono però essere aiutati fino alla fine. Ecco perché dovremmo sapere riconoscere i soggetti in crisi e i relativi segnali di allarme”. In forza di ciò, l’esperto invita a non sottovalutare i fattori rivelatori di una sofferenza potenzialmente pericolosa.
Suicidio: riconoscere i segnali, entrare in empatia
Chi medita il suicidio tende invero a isolarsi da amici e familiari, a parlare della morte, modificando le proprie abitudini del sonno e dell’appetito, diminuendo il proprio rendimento scolastico o lavorativo, così come mostrare un miglioramento improvviso dell’umore dopo un periodo depressivo. Il soggetto in pericolo può utilizzare anche espressioni particolari quali “Magari fossi morto, a che serve vivere? Ben presto non dovrai più preoccuparti di me”.
Per instaurare una relazione d’aiuto con chi vive questo genere di sofferenza ci sono regole che una persona non professionista può seguire. Il Professore sottolinea l’importanza di “parlare onestamente e con semplicità, esprimendo la propria preoccupazione, accudimento e solidarietà, concentrandosi sui sentimenti della persona in crisi; ascoltare attentamente, con calma, comprendendo i sentimenti dell’altro con empatia, esprimendo rispetto per le sue opinioni e valori”. Tra gli errori da evitare, “interrompere troppo spesso, esprimere il proprio disagio, dare l’impressione di essere occupato o fare affermazioni intrusive”.
I passi in avanti e i passi ancora da fare
Sull’attenzione riservata al suicidio nel nostro Paese, Pompili evidenzia i passi in avanti che certamente sono stati fatti: “ora se ne parla di più. Il nostro evento annuale Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica riceve migliaia di richieste di partecipazione, segno che il tema è portato in primo piano e che molti, professionisti e non desiderano affrontarlo”. Ma anche il modo in cui i media dovrebbero trattare il problema è rilevante, in quanto “dovrebbero essere assolutamente evitate pratiche di sensazionalismo, come fosse uno scoop, con i caratteri cubitali e frasi ad effetto”.
Alla domanda sui limiti che ancora oggi ostacolano la prevenzione del suicidio il Professore risponde che “il limite principale è rappresentato dal dover ancora fornire un’informazione completa sulla prevenzione del suicidio a tutta la popolazione, dover identificare i gruppi a rischio e avere professionisti esperti in questo settore. Parlare del suicidio in modo corretto aiuta a prevenirlo, creando informazione, speranza e possibilità di aiuto”.
A fronte di un numero di suicidi in netto aumento, la ricerca delle ragioni porta all’analisi del tessuto sociale attuale; a tal riguardo, “c’è un grande bisogno di comprensione della sofferenza umana. Se da un lato ci sono persone naturalmente più empatiche, si può essere più attenti alle emozioni negative degli altri. Dovrebbe esserci una formazione a tutti i livelli su questo aspetto, nelle scuole come nelle università, per cercare di fare un’opera collettiva a livello della società. Il periodo attuale è sicuramente difficile, soprattutto per i giovani, che affrontano il post-pandemia, le sfide di vivere nella dimensione dei social-media e probabilmente di essere parte di una società in rapido cambiamento”.
Non in ultimo, il Professore raccomanda di rivolgersi anche ai survivors, ossia a coloro che hanno perso una persona cara a causa del suicidio: “si tratta di una popolazione molto più numerosa in quanto per ogni suicidio si hanno numerosi survivors. Sono una popolazione spesso dimenticata, che soffre in silenzio e che affronta un lutto diverso da ogni altro. Per loro è necessario un ulteriore livello di assistenza e comprensione”.
L’articolo Intervista sul suicidio fatta al Professor Maurizio Pompili è già apparso su Il Corriere Nazionale.