Del 7 Febbraio 2024 alle ore 16:34
L’affermazione di Aurelio De Laurentiis sul Bari come sua “seconda squadra” che ha agitato, a ragione, i social baresi, acquisisce una dimensione ancora più complessa e controversa quando si considera il contesto della multiproprietà che lega il Napoli al Bari – o viceversa – attraverso la Filmauro, la società di produzione cinematografica di proprietà della famiglia De Laurentiis. Questo aspetto introduce una problematica che va ben oltre la semplice simpatia o affetto per un’altra squadra, toccando questioni strutturali e identitarie profonde nel mondo del calcio.
La multiproprietà nel calcio, ovvero il possesso di più club da parte dello stesso proprietario o gruppo societario, è un tema di notevole dibattito e controversia.
Criticata per potenziali conflitti di interesse e per l’influenza che può avere sull’integrità delle competizioni, la multiproprietà è vista da molti – dai tifosi del Bari nel merito – come una pratica che mina le fondamenta dell’equità sportiva. Nel caso di Napoli e Bari, la presenza di una stessa entità proprietaria attraverso la Filmauro complica ulteriormente il rapporto tra i club e i loro tifosi.
I tifosi del Bari, in particolare, esprimono preoccupazioni legittime riguardo alla loro autonomia e identità come club. La speranza di uno svincolo dalla Filmauro deriva dal desiderio profondo di ritrovare una propria specificità, libera da legami diretti che potrebbero compromettere la percezione di indipendenza e di un percorso sportivo autonomo. La questione dell’identità è centrale nel calcio, dove la storia, i valori e la cultura di un club si intrecciano strettamente con la comunità di tifosi che lo supporta.
Questa aspirazione a un’identità indipendente e distinta si scontra con la realtà della multiproprietà, che può portare a percezioni di secondarietà o di dipendenza strategica e finanziaria. I tifosi baresi pretendono che il loro club abbia la possibilità di correre da solo, anche a rischio di incontrare maggiori difficoltà, piuttosto che essere percepito come un satellite o un’appendice di un’altra entità. Il concetto di proseguire da soli anche a costo di “inciampare”, in questo contesto, è emblematico della volontà di affrontare sfide in modo autonomo, preservando l’unicità e l’integrità del club.
La dichiarazione di Aurelio De Laurentiis, quindi, nella sua inopportunità, non solo solleva questioni di fedeltà e identità calcistica ma si inserisce in un contesto più ampio e complesso, dove la struttura proprietaria dei club influisce direttamente sulla loro percezione pubblica e sul loro legame con i tifosi. La multiproprietà, in questo caso, diventa un simbolo di problematiche più ampie che affliggono il calcio moderno, mettendo in luce la tensione tra gli aspetti commerciali e finanziari dello sport e le tradizioni, i valori e le aspirazioni delle comunità di tifosi. E’ quindi comprensibile il crescente appello affinché la famiglia De Laurentiis ceda al più presto il controllo del Bari, aprendo la strada a nuove prospettive per il club.
Mentre si riconosce il valore e l’impegno dimostrati dalla famiglia De Laurentiis nel rilanciare il Bari dalle ceneri, è giunto il momento di intraprendere nuove strade. Una proprietà indipendente, forte di risorse finanziarie, avulso da clientelismi già visti chiari ed abbondanti con le precedenti gestioni, e di una visione strategica chiara, potrebbe rappresentare il prossimo capitolo nella storia di questo storico club, garantendogli un futuro luminoso e ricco di successi. Bari non è seconda a nessuno. Semmai potrebbe essere prima rispetto a qualcun altra.
Insomma per dirla in stile manzoniano: “Or bene, questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai!”.
Massimo Longo
L’articolo Quelle parole inopportune di Aurelio De Laurentiis e l’inevitabile sommossa dei social è già apparso su Il Corriere Nazionale.