Del 7 Febbraio 2024 alle ore 14:47
Eccoci, ci risiamo. Un altro Festival di Sanremo di Amadeus e si spera sta volta sia davvero l’ultimo. Sì, e lo dico nonostante il 65,1% di share della prima serata – ossia, da quel che pare, la media più alta dal 1995 – perché gli ascolti importano alla macchina televisiva, non a noi spettatori. Ammettiamolo, non aspettavamo altro che la “settimana santa” della musica e non ce la saremmo mai persi, ma abbiamo avuto tutti la stessa sensazione.
Troppi cantanti in gara. Se prima che iniziasse era un presentimento, ora è certezza. Il fatto di voler rilanciare un Festival incentrato sulla musica è sfuggito evidentemente di mano. Cinque o sei si sarebbero potuti evitare, un po’ per le canzoni che artisticamente non aggiungono nulla alla kermesse, un po’ perché seguendo questo modus operandi siamo arrivati alle 2 di notte e, se non fosse stato per Marco Mengoni, strabiliante anche come co-conduttore e showman (avevamo dubbi?! io non credo), ci saremmo addormentati. Non tanto noi giovani che con il FantaSanremo, le pagelle amatoriali e i meme abbiamo resistito fino alla fine (e non senza sforzo), ma più che altro per tutti coloro che non usando questi mezzi stanno perdendo l’attaccamento al Festival. E non è una illazione, è l’effetto contrario del pre Amadeus: qualsiasi mio coetaneo prima che Sanremo diventasse materiale da social, ricco di trash e una fucina di tormentoni, o non lo aveva mai visto o non lo vedeva più appositamente perché noioso e “vecchio”.
In effetti, volendo spezzare una lancia a favore – ma non troppo – del direttore artistico, anno dopo anno ha selezionato brani che rispecchiano sempre di più quelli che sono gli ascolti ormai maggiormente diffusi tra i ragazzi e quelli che per sound strizzano l’occhio alle radio, facendo girare l’industria. Ha individuato la sua chiave vincente, perché come presentatore sapeva dentro di sé di fare acqua da tutte le parti. Il richiamo di Fiorello per questa sua quinta edizione è stato infatti essenziale, per lo meno per far ridere un po’.
Il compito di accendere i riflettori su grandi temi e messaggi sociali importanti lo ha lasciato a Ghali con “Casa mia” e Dargen D’Amico con “Onda alta” canzoni dance e impegnate contro la guerra e il razzismo, ma anche a Bigmama (“La rabbia non ti basta”) e La Sad (“Autodistruttivo”) con i loro seppur diversi inni alla vita. Canzoni che stanno ricevendo e riceveranno consensi dal pubblico, ma che si sa per quanto possiamo provarci il Festival è televisione e i testi più disturbano o dividono e più finiscono giù in classifica. Spero tuttavia di ricredermi al termine delle cinque serate.
La novità di quest’anno di rendere note solo le prime cinque posizioni provvisorie, non la condivido anche se le pagelle della sala stampa circolano ormai da settimane sui media, quindi un’idea ce la possiamo fare comunque e possiamo affermare che i loro giudizi non sono cambiati. È evidente che ai fortunati giornalisti piace ciò che conoscono bene, chi su quel palco c’è già stato o chi ha addirittura già vinto. Mi riferisco al quarto e quinto classificato, Diodato e Mahmood, che hanno presentato in gara due bei pezzi (“Ti muovi” e “Tuta gold”), esattamente con il loro solito abito, con le loro solite stupende voci e penne riconoscibilissime. Questo vuol dire che un artista deve sempre stupire con qualcosa di diverso da ciò a cui ci ha abituati? No di certo, ma se deve rimanere nel suo che lo faccia al 100%. Penso anche a Irama, per esempio, con la sua “Tu no” con cui conferma una potentissima ed emozionante attitudine, eppure non riesce a toccare l’apice di incisività raggiunto con la precedente “Ovunque sarai”.
Al terzo posto – sempre provvisorio – c’è Annalisa che, perfettamente in linea con l’ascesa della sua carriera nelle classifiche radiofoniche e nei trend di TikTok (già è stato creato il balleto per “Sicuramente”), regala un altro tormentone che sentiremo risuonare dappertutto e che non ci stuferà fino alla fine dell’estate quando andremo agli ultimi happy hour in spiaggia saltando e cantando prima di lasciare spazio alla prossima autunnale, perché ormai la cantante ha scelto per sé questo marchio di fabbrica. Per carità, come biasimarla, così si guadagna molto di più. Ma tutto il lato profondamente artistico lo lasciamo perdere?! Va bene dai, ma solo perché è bellissima e perché insieme ai The Kolors ci vuole una hit maker al femminile che rappresenti la categoria e la vinca a mani basse.
Seconda Angelina Mango, figlia del grande cantautore ma anche evidentemente molto figlia di Maria De Filippi. Si vede che è nata per il palco e che ha avuto una ottima palestra su cui prepararsi prima di calcare l’Ariston con quella grinta, consapevolezza e nonchalance quasi come se fosse una veterana. Non un’incertezza per l’emozione o l’ansia, non un movimento fuori luogo. Il brano è moderno ed è inequivocabilmente scritto da Madame, quindi diretto, efficace e un successo garantito. La combo delle due artiste fa pensare ad Angelina come la Rosalìa italiana. All’Eurovision Song Contest spaccherebbe e se volessimo andare di presagi immagino anche che, qualora il podio restasse questo, la Bertè stessa – per ora meritatissimamente in vetta – potrebbe darle il pass di accesso alla gara europea. Da un lato però sarebbe un peccato, d’altronde Loredana è un’icona e chi meglio di lei potrebbe rappresentarci in un contesto così fuori dagli schemi come è da qualche anno l’Eurovision. Mentre pensando del Festival di Sanremo, qui lo dico e qui lo nego, se consideriamo tutti i fattori che influiscono sul risultato finale, potrebbe vincerlo davvero. Se non sarà così, chapeau comunque per lei che è tornata in gara con un pezzo liberatorio e così personale da convincere e farci ritrovare tutti. Infondo è questo il gol no?! Siamo figli di Loredana.
Ultima menzione doverosa per Geolier, ci aspettavamo esattamente ciò che cantato e ha rapito tutti come sempre ormai, accompagnato da un outfit così elegante che potrebbe cozzare con il napoletano e invece il connubio è stato perfetto. Non sono fan e non riascolterò “I p’ me, tu p’ te” in loop, ma ho apprezzato. Simpatica e originale anche Rose Villain con “Click boom!”, un brano dalla doppia faccia di cui però rimane in testa solo quella ritmata del ritornello.
Concludo con gli unici tra le new entries – e oserei anche tra gli “abbonati” – che si sono distinti seppur l’orario in cui si sono esibiti non ha reso giustizia al loro pezzo, i Santi Francesi con “L’amore in bocca”. Dopo aver vinto XFactor quest’anno, hanno debuttato a Sanremo nel loro stile inconfondibile, il che significa “aggiungere qualcosa alla kermesse”, come spiegavo in incipit. Se non vi hanno convinti, invito a un secondo, un terzo e un quarto ascolto e si spera in una prossima esibizione prima della mezzanotte. Il potenziale è grande per un percorso in salita che di certo li aspetta. Tutti gli altri che non ho qui riportato sono stati a mio avviso, chi più chi meno, superflui. Tranne per i Ricchi e Poveri, fantastici e memorabili. Un vero regalo coi fiocchi!
E comunque se Mengoni vuole tornare tutte le sere, per noi è ok…
L’articolo Festival di Sanremo 2024: recensione della prima serata è già apparso su Il Corriere Nazionale.