Del 6 Febbraio 2024 alle ore 17:08
Markus Krienke
Oltre due milioni di tedeschi in piazza nell’arco di due settimane per manifestare contro l’estremismo di destra: nonostante questo vivente «muro tagliafuoco» (Brandmauer) contro il nazismo viene esplicitamente lodato dalle massime istituzioni della Germania, dal Presidente al Cancelliere, può certamente anche destare preoccupazione. Se solo a Berlino sabato scorso circa 200-300 mila persone hanno seguito l’invito di oltre 1.800 organizzazioni, e nei primi quattro giorni di febbraio oltre 800.000 persone sono scese in piazza in 237 città, molti pongono la domanda paurosa se siamo in qualche modo tornati alla Repubblica di Weimar dell’inizio degli anni ’30.
Già nella domanda stessa sta però anche la risposta: una tale responsabilità per la democrazia come quella manifestata in queste settimane non si sentiva allora. Oggi, una larga parte del “centro della società” non è più disposta a far finta di “non sapere”, specialmente dopo l’indagine di Correctiv che ha documentato un incontro segreto, avvenuto il 25 novembre tra esponenti dell’Alternative für Deutschland (AfD) e vari altri schieramenti di estrema destra e nazisti, per elaborare con l’estremista di destra austriaco Martin Sellner un piano di remigrazione (cioè espulsione) per milioni di persone, soprattutto stranieri ma anche tedeschi “incapace di inserirsi nella società”. Mentre fino alla pubblicazione di tale report il 10 gennaio, il legame del partito con il neonazismo era noto ma incerto nelle sue dimensioni, in quel momento si è dissipato ogni dubbio circa il fatto che negli ultimi anni esso è mutato: il suo populismo di destra iniziale ha dato sempre più ospitalità all’estremismo neonazista che utilizza il partito come “strumento politico” per infiltrarsi nello Stato democratico di diritto mettendo a repentaglio le sue istituzioni vitali. È però altrettanto chiaro che l’impennata nei sondaggi non è da ricondurre a una “svolta nazista” della popolazione tedesca ma espressione di un’enorme insoddisfazione con i “partiti del cartello” (Kartellparteien) come l’AfD intitola i partiti tradizionali dello spettro democratico.
Specialmente nella Germania dell’Est si esprime questa reazione di protesta all’“occidentalizzazione imposta” da parte della Germania dell’Ovest a partire dal 1990 che avrebbe svalutato qualsiasi identità e conquista della popolazione orientale della Germania nei decenni della separazione. Ma anche nei Länder occidentali il partito raccoglie le insoddisfazioni e le paure di chi ritiene che da tempo i governi della CDU e dell’SPD non raccogliessero più le preoccupazioni della popolazione di fronte all’immigrazione, la recessione, il problema energetico e le politiche esigenti “del verde”. Specialmente lo spostamento della CDU verso la sinistra nel cancellierato Merkel ha lasciato scoperto l’ala di destra e conservatrice, in cui ormai una destra radicalizzata e populista è entrata con successo.
Un effetto che le proteste in seguito all’indagine di Correctiv hanno realizzato è senz’altro la sensibilizzazione di chi si orientava verso l’AfD ignorando l’ala estremista del partito, diventata sempre più dominante. È certamente una domanda aperta se si può trovare una vera e propria “prova” per questa sensibilizzazione già nel fatto che proprio in questi giorni per la prima volta dopo un anno di continua ascesa nei sondaggi il partito è sceso di due punti al 19%, e che una settimana fa il loro candidato ha perso un ballottaggio per la presidenza di un distretto in Turingia. Troppo presto per dirlo, specialmente in vista delle urne del 9 giugno (Europa) e del dopo estate in Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Intanto, dopo il 10 gennaio, il partito ha registrato una nuova ondata di richieste di iscrizione e a livello nazionale, e si riconferma sempre la seconda forza politica – e addirittura prima nei tre Länder appena menzionati. Ci si domanda, dunque, quale effetto a medio termine le manifestazioni per i valori costituzionali e democratici avranno sulla società e la sua cultura democratica. Fatto sta che i partiti del governo (SPD, Verdi e Liberali), che insieme non raggiungono la quota della CDU a 31%, non potranno limitarsi più a semplici gesti di “approvazione” dei manifestanti in sostituzione di una vera e propria politica che rassicura la popolazione con idee credibili per il futuro.
Così non meraviglia che un’“alternativa dell’alternativa” non viene dal governo ma da un nuovo partito, fondato l’8 gennaio 2024, il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), nominato secondo la sua fondatrice che precedentemente militava nell’SED (Partito Socialista della DDR) e dopo l’unificazione nella Linke. Qualche sondaggio parla di 40% dei simpatizzanti dell’AfD disposti a votarlo anche se è di matrice opposta, cioè sinistra conservatrice, proprio perché percepiscono la decisione del suo leader molto popolare in Germania di affrontare i temi che secondo l’opinione pubblica sarebbero negletti dai partiti tradizionali. Con attualmente 6% del consenso elettorale, il BSW – che ritiene il governo incapace di affrontare la disuguaglianza sociale e l’immigrazione, mentre si oppone al Green New Deal e agli aiuti per l’Ucraina – entrerebbe nei parlamenti regionali e nazionale, complicando ulteriormente la formazione dei governi che già ultimamente si è rivelata sempre più risicata. Sull’effettivo potenziale futuro di questo partito è però difficile fare prognostici ad oggi.
E qui siamo giunti probabilmente al vero punto problematico della situazione politica attuale in Germania: il successo dell’AfD, insieme alle proteste attuali (da analizzare ancora bene per quanto riguarda la composizione dei loro iniziatori e le pretese politiche avanzate), dimostrano una società che sta perdendo sempre di più quel grande consenso trasversale che giaceva alla base del successo del “modello tedesco”. Una diversificazione mai vista prima nello spettro dei partiti – fino al 1983 c’erano solo tre partiti nel parlamento e fino al 2021 una coalizione di governo non si componeva mai da più di due partiti – rispecchia una società in veloce cambiamento, di fronte a sfide e paure esistenziali inaspettate, e che non confida più nei partiti che garantivano i “vecchi consensi”. Sta casomai in questo aspetto, non nell’ascesa del neonazismo, il vero parallelo con Weimar. Sarà di grande interesse capire sia come i partiti tradizionali reagiranno a questa sfida, sia se si confermerà la disponibilità dei tedeschi – finora poco articolata – a sostenere nuovi partiti euroscettici e ai lati estremi dello spettro politico.
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L’articolo Presente e futuro della politica tedesca: esiste un pericolo da destra? è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.