In Italia si parla sempre più di giovani. Trascorsa l’era dei Millennials, che si sono poi assestati sui loro livelli, è stata la volta della Gen Z. Questa generazione, che oggi rappresenta una grossa percentuale di giovani in Italia, è quella dell’instabilità e dell’incertezza. Giovani, tutti o più o meno, generalmente qualificati abbastanza, anche con titoli di studio elevati eppure instabili e alla ricerca perenne del proprio posto nel mondo. È la generazione priva di quelle certezze che hanno attraversato gli anni ’80 e gli anni ’90, di chi non arriva a fine mese o vive coi genitori o appartiene al gruppo dei NeeT o ancora che ha bisogno di fare tre lavori diversi per tirare a campare. Un quadro disperato che comunque non offusca le potenzialità, ancora inespresse, della maggior parte dei membri della Gen Z. Tra cui anche tanti minori, coloro i quali vivono, cioè, la fase più delicata della loro crescita e per i quali incertezze e pericoli rischiano di diventare sempre più grandi e delicati. Indagini e studi di settore lo dimostrano.
Non da ultima l’indagine “Venduti ai Minori”, uno studio condotto su 1360 giovani tra i 10 ed i 17 anni, elaborata dal Movimento italiano Genitori in sinergia con l’Istituto Piepoli per analizzare il fenomeno della vendita ai minori di prodotti o vietati o inadatti: tra questi tabacchi, alcol, gioco d’azzardo, pornografia, videogiochi e prodotti contraffatti. È emerso un quadro disastroso e preoccupante del mondo giovanile.
Uno dei dati che più preoccupano riguarda lo scarso controllo nelle sale da gioco sui minori. Il 59% degli intervistati ha dichiarato di giocare spesso senza subire la verifica dell’età. Un dato in calo rispetto al passato ma comunque preoccupante per quelli che sono i rischi del gioco. Che, a quanto pare, è percepito come scarsamente pericoloso dai giovani. Almeno dall’83% degli intervistati, che crede di poter subire danni con il gioco ma non troppi. Il 47% pensa invece che le conseguenze possono essere serie, ma il dato è in calo e quindi emerge un problema forse educativo. Il 79% degli intervistati in minore età sa che il gioco è vietato, ma il 22% di questi ha ricevuto scarse informazioni, se non addirittura sbagliate. A ciò si aggiunga uno scarso livello di sorveglianza, che coinvolge almeno il 57% degli intervistati, che non ha ricevuto controlli dai rivenditori, che in alcuni casi i controlli li hanno totalmente bypassati.
I videogiochi sono la passione del 71% degli intervistati, a fronte di un cambio di abitudine dei giocatori. La problematica qui è differente: il 38% dei giocatori non ritiene devianti i giochi con contenuti violenti o volgari. Gli stessi rivenditori non si curano invece di vendere a minori giochi non adatti alla loro fascia di età, ignorando le fasce PEGI. È un quadro complesso e frastagliato, che si inserisce all’interno di una generazione già fitta di problemi. A cui una soluzione, pare, non è stata ancora trovata.