Del 3 Gennaio 2024 alle ore 06:09

L’Altro è Dio. Andrea Monda ha titolato così per celebrare i dieci anni del selfie e di papa Francesco. Dio sta con papa Francesco, ma è bene iniziare in modo esplicito da Lui: l’Altro.

di Carlo Forin

Si è chiuso l’anno dei dieci anni di pontificato di Papa Francesco. Del 2013 si può ricordare non solo che nella sera di quel 13 marzo è stato eletto al soglio pontificio Jorge Mario Bergoglio ma anche un altro piccolo episodio, non privo però di significato: quell’anno la prestigiosa istituzione dell’Oxford Dictionary indicò selfie come “parola dell’anno”.

Di fatto un neologismo più che una parola, che definiva quel fenomeno esploso in quel tempo e oggi ancora dilagante di farsi un self-portrait, un autoritratto utilizzando i telefonini. Non era e non è solo una procedura tecnica ma appunto un fenomeno sociale che denota alcune caratteristiche anche psicologiche di un mondo che a fianco all’uso del fotografare, ha deciso di fotografar-si. Di mettersi in posa e immortalare nient’altro che se stessi, spesso ritoccando con “filtri” quell’immagine, in una sorta di auto-celebrazione continua, quasi compulsiva.

Se n’è parlato molto da allora di questo uso, sintomo per molti del narcisismo dilagante, dell’autoreferenzialità, per alcuni della vacuità di una società autocentrata ed esibizionista.

Da questo punto di vista è singolare la coincidenza temporale: Francesco e il selfie. Sembrano due realtà antitetiche, agli antipodi, a conferma dell’intuizione di G.K.Chesterton che nell’agiografia dedicata a san Tommaso d’Aquino parlando della santità afferma che: «Il santo è una medicina perché è un antidoto.

Ed è per questo anche che il santo è spesso un martire; viene scambiato per un veleno proprio perché è un antidoto. […] Eppure ogni generazione cerca il suo santo d’istinto, ed egli non rappresenta tanto ciò che la gente vuole quanto ciò di cui essa ha bisogno. […]il paradosso della storia è che ogni generazione è convertita dal santo che maggiormente la contraddice».

La generazione nata a cavallo del secondo millennio è evidentemente segnata da quelle caratteristiche che il selfie esprime efficacemente, si può dire che ha trovato un uomo di cui ha bisogno perché è davvero «segno di contraddizione» e capace di svelare «i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 35): è davanti agli occhi di tutti l’impegno di Bergoglio per far uscire l’uomo e la Chiesa di oggi da se stessi, dalle rigide strutture, istituzionali e prima ancora mentali, dell’autoreferenzialità e autosufficienza esortandolo incessantemente ad un “esodo”, un cammino di liberazione da ciò che un altro grande spirito inglese, anch’esso caro a Francesco, ha definito «quella cosa troppo invadente che si chiama “io”» (San Tommaso Moro, Preghiera per il buon umore).

Si potrebbe dire quindi Francesco come l’anti-selfie, ma sarebbe un abbaglio, un’imprecisione. È interessante osservare infatti, anche qui, il “metodo” usato dal Papa (che poi è quello antico della Chiesa). Infatti Francesco, come tutti ricordano, è anche il primo Papa che si è fatto fare un selfie, tanti selfie e i selfie con il Papa, soprattutto all’inizio, come si suol dire, hanno fatto il giro del mondo. La parolina chiave è quel “con”: con il Papa. Cioè Francesco non ha considerato il selfie come un male assoluto, come un nemico da distruggere, non lo ha guardato con disprezzo dall’alto verso il basso.

Lo ha visto invece con interesse e ne ha colto tutte le insidie, le zone d’ombra, ma anche una, nascosta e per quanto esile, possibilità. Si è quindi calato in quella zona d’ombra, e ha scelto di “abitare in mezzo” a questo fenomeno umano, “allargandolo”, generando una via di trasformazione, una strada che è sempre sin-odos, strada su cui camminare insieme.

Ha fatto il selfie a richiesta dei tanti, spesso giovani, che lo hanno avvicinato, e il selfie è diventato un’altra cosa: un’immagine non solitaria e alla fine malinconica, ma gioiosa e spontanea, “senza filtri”, di un gruppo di persone che stanno vivendo insieme un’esperienza. Al fenomeno che per eccellenza sembra dire “extra omnes”, fuori tutti, qui al centro ci sono solo io e il mio ego,

il Papa risponde aprendo un altro orizzonte che dice: mai senza l’altro. In uno dei suoi discorsi il Papa ha dato un suggerimento: quando ci guardiamo allo specchio, cosa da fare con prudenza dato il rischio sempre presente della vanità, facciamolo con a fianco un altro, un amico.

Lui ci aiuterà a non cadere nell’inganno di quella visione e a metterla a fuoco in modo che quel rispecchiarsi non sia esercizio di superbia ma di umiltà.

Mai senza l’altro quindi; questo (che tra l’altro è titolo di un saggio del teologo gesuita Michel De Certeau più volte citato dal Papa) è uno dei punti qualificanti e illuminanti di tutto il suo pontificato, un invito che il cristiano non può trascurare, nella consapevolezza che vivere “mai senza l’altro” è la via sicura che porta a stare “mai senza l’Altro”.

di ANDREA MONDA

L’articolo Mai senza l’Altro è già apparso su Il Corriere Nazionale.

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