La cucina tipica della Basilicata. I zitoni sono i fratelli grandi degli ziti
Gli ziti erano il piatto clou dei matrimoni, si facevano bollire e si condivano a strati con ragù di castrato e pecorino, si versavano nelle “spase”, una sorta di piatto grande, dove tutti si servivano, diventava una gara a chi mangiava più veloce, in modo di attingere più spesso alla “spasa” ….
Da piccolo venivo fornito, la domenica, di un pacco di zitoni e una scodella di plastica. Poggiavo la scodella sulle ginocchia e ad uno ad uno sfilavo lo zitone dal pacco spezzandolo in più parti, in modo da favorire una lunghezza minore della pasta da mettere in bocca.
Sarebbe stato quasi impossibile mangiare lo zitone lungo come si presentava.
Ed io tagliavo a pezzi quasi uguali la pasta, le dita facevano male ad un certo punto, però non potevo desistere, il regalo che mi si proponeva era troppo gustoso e goloso.
Una volta cucinata la pasta e “ministrata” agli altri componenti della famiglia a me toccava il rimasuglio spezzettato degli zitoni, oramai diventati tutt’uno con il sugo e il formaggio, appetitoso e godurioso a cui io non potevo, non volevo, sfuggire.
Ecco perché riducevo a pezzi la pasta e mi arrabbiavo se qualcun altro lo faceva al posto mio.
Non per spirito di sacrificio, come gli altri pensavano, ma per puro piacere del boccone ultimo, quello più succoso, più saporito, più unto di sugo.
Il profumo pungente del formaggio legato dal pomodoro che a sua volta lega il tutto agli schizzi di pasta rotta. Solo al pensiero di quel sapore l’epiglottide va su e giù e la mente spazia in un turbinio di profumi e colori. Gli zitoni calati nell’acqua bollente hanno stimolato più di qualche pensiero, anche peccaminoso.
Da gliortidellamente.com ho appreso che qualche studioso ha definito il cucinare e scolare la pasta al dente di alta levatura culturale. La cottura al dente dove lo zitone risulta metà duro e meta cotto, diventa un’ambiguità pendente fra maschio/femmina.
Nel dare al maccherone la possibilità di rimanere “tuosto”, caratteristica maschile per eccellenza, diviene il più crudo degli alimenti cotti e il più cotto degli alimenti crudi, un po’ uomo e un po’ donna, simile alla figura dei fimminielli napoletani senza mettere in discussione in modo totale la virilità.
Sembra che anche Freud rimase impressionato, durante un viaggio a Napoli, dalla preparazione degli zitoni al ragù.
Il padre della psicoanalisi vi scorse una sorta di castrazione maschile per opera della madre, il corollario sanguinolento alla già teorizzata nostra invidia del pene, tanto da paragonare in un suo scritto, il cui titolo la dice lunga,
“Edipo in cucina”, l’ingestione da maccheroni con il ragù all’unione incestuosa con la madre, proponendo il desiderio dello zitone.
Sicuramente il nostro psicanalista non stava molto bene nemmeno con se stesso, cosa oramai accettata, ma resta il fatto, però, che è straordinario che un pugno di farina impastato con l’acqua, tirato e tagliato, seccato ed infine cotto in un pentolone di acqua bollente, riesca a stimolare il Pensiero sino a questo punto
L’articolo Le ricette della Lunarossa gli zitoni è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.