Del 30 Dicembre 2023 alle ore 11:01Editoriale di Daniela Piesco co-direttore Radici
È sotto gli occhi di tutti la crisi del liberalismo così come l’abbiamo conosciuto fin qui, cioè come uno strumento di organizzazione sociale capace di ridurre le ingiustizie, distribuire ricchezza, creare democrazia.
Evidentemente qualcosa non ha funzionato, l’idea che la libertà dei mercati producesse benessere per tutti si è dimostrata falsa, così come la diffusione generalizzata delle democrazie nel mondo.
E’ la palese dimostrazione che il criterio solamente economicistico non basta a comprendere e affrontare la realtà. Trascura infatti il punto cruciale e cioè che i popoli vivono di cultura e religione che informano il loro modo di essere assai più profondamente della situazione economica che vivono.
Una globalizzazione che non tenga conto di questo è destinata a sostenersi solo con la guerra, fredda o calda che sia. L’Occidente in particolare, che ha cancellato o fa di tutto per cancellare la sua eredità cristiana è il meno attrezzato sul tema e può solo mostrare i muscoli, finché avrà la forza per farlo.
Ma procediamo per gradi
Elemento importante dell’anno che si sta concludendo è l’affermazione, a livello globale, del Global South come forza politico-culturale in contrasto con le democrazie occidentali e che caratterizzerà sicuramente anche il 2024.
Il fallimento della candidatura di Roma ci ha spazzati via con l’assegnazione dell’evento a Riyad. Purtroppo, le democrazie occidentali non sembrano avere la percezione che questo sia un elemento politico che va al di là della designazione della location di un Expo.
Infatti I rapporti tra l’Occidente e i paesi del “Global South” evolveranno in una sfida tra due blocchi contrapposti e l’Europa dovrebbe rispondere a questa sfida cercando di mediare tra le posizioni dell’Occidente e le legittime richieste del Sud del mondo.
il Global South sarà un elemento caratterizzante degli scenari internazionali anche nel 2024 e avrà come contraltare l’irrilevanza progressiva, per motivi diversi, di Stati Uniti ed Europa.
Una guerra mondiale a pezzi
La situazione odierna è quella di una guerra mondiale a pezzi che ha come obbiettivo di portare l’avversario alla consunzione, alla destabilizzazione sociale ed economica e dunque alla capitolazione,e che segnerà la fine della cosiddetta globalizzazione,(sorta con la fine del socialismo reale) con conseguente fine dell’egemonia assoluta dell’Occidente e del suo paese leader, gli USA, sul resto del mondo.
Invero data la quasi impossibilità di uno scontro diretto tra potenze che potrebbero usare le armi nucleari e rischiare così di porre fine alla civiltà umana sulla Terra, il conflitto assume una nuova caratteristica, quella di realizzarsi a pezzi, appunto, in una catena di conflitti tra loro legati dal fatto che a combattere sono forze ascare (quelle presenti nei paesi in lotta) a loro volta sostenute dalle grandi potenze in lotta. .
In questa logica sono certamente comprensibili sia il conflitto ucraino, ma anche le continue ingerenze occidentali nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan, il conflitto in Siria, i conflitti nel Sahel (precisamente in Niger, Malì, Burkina Faso e Sudan) dove si scontrano chiaramente i russi (con la compagnia di ventura Wagner) e gli occidentali (spesso servendosi di milizie locali ma anche con l’intervento diretto di “truppe di pace”).
Dunque un incredibile puzzle di conflitti che ora vede al culmine della ferocia, con decine di migliaia di morti ,l’invasione di Gaza da parte dell’esercito di Israele.
Ma chi trae beneficio dalla carneficina di Gaza?
Certamente gli USA, grandi alleati e protettori di Israele che in questo modo possono infiammare il Medio Oriente, destabilizzando l’Arabia Saudita e bloccandone l’alleanza ormai chiara con la Cina e con la Russia; possono indebolire soprattutto l’Iran, ormai stabilmente in orbita russa e cinese e prossimo all’entrata nel BRICS, rompendo così quell’isolamento che tarpa le ali a Teheran dai tempi della caduta dello Shah per mano degli Ayatollah.
L’indebolimento del BRICS e dei suoi due paesi fondamentali (Russia e Cina) è ormai l’elemento fondamentale della strategia USA al fine di garantire a Washington il mantenimento dell’egemonia mondiale .
Washington ha ordinato infatti le provocazioni verso i paesi arabi, sia con la carneficina di Gaza, sia con i continui bombardamenti del Sud del Libano e della Siria. E’ chiaro ed evidente che lo scopo è quello di allargare il conflitto per ottenere i suoi obbiettivi :la destabilizzazione (e possibilmente il regime change) in Iran e in Arabia Saudita con il conseguente indebolimento del BRICS, della Russia e della Cina.
Lo stretto di Bab el-Mandeb
Fino ad ora sia l’Iran che i suoi alleati libanesi Hezbollah hanno evitato di rispondere agli attacchi israeliani. Così però non è stato con i ribelli filoiraniani yemeniti Huthi, attestati nella parte nord del paese. Infatti questi coriacei ribelli, capaci di tenere testa alle truppe saudite armate con tecnologia americana, hanno deciso di dichiarare guerra ad Israele.
Prima hanno lanciato attacchi, sia con droni che con missili balistici di produzione iraniana su Israele e successivamente hanno iniziato a bersagliare il traffico navale nello stretto di Bab el-Mandeb che connette l’Oceano Indiano con il Mar Rosso. Si tratta di un’arteria fondamentale del commercio mondiale la cui chiusura obbliga gli armatori alla ben più lunga e dispendiosa rotta che circumnaviga l’Africa doppiando il Capo di Buona Speranza.
Si calcola, per esempio, che il flusso di traffico proveniente da Singapore e diretto al porto olandese di Rotterdam aumenterebbe del 40% il numero di miglia da percorrere se anziché passare da Suez fosse costretto a passare per Capo di Buona Speranza.
Bisogna dire che ad oggi il blocco intentato dagli Huthi è da ritenersi molto efficace, infatti le principali società logistiche globali come Maersk, Cma Cgm, Hapag-Lloyd e Msc Mediterranean Shipping Co hanno smesso di utilizzare lo stretto di Bab el-Mandeb, così come la British Petroleum per quanto riguarda il trasporto di petrolio.
E’ stata così creata una situazione di grave conflitto che se non prontamente affrontata rischia di far precipitare l’Europa in una nuova fase di grave crisi economica con ulteriori rialzi dell’inflazione.
Infatti l’Occidente, guidato dagli USA, ha deciso rapidamente di muoversi costituendo una flotta , in grado di contrastare il blocco di Bab el-Mandeb da parte degli Huthi. L’operazione, denominata Prosperity Guardian, vede tra i partecipanti certi gli USA, la Gran Bretagna, il Bahrein, il Canada, l’Olanda, la Norvegia e le Seychelles, con Francia, Italia e Spagna che invieranno navi ma che formalmente non faranno parte di questa flotta.
Come si evolverà la situazione è facilmente intuibile, anche perché gli Huthi hanno già dichiarato che non intendono interrompere il blocco dello stretto se non con il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza. Quindi è ampiamente probabile che si arrivi anche qui ad un escalation con l’aggiunta di un ulteriore anello alla già lunga catena di conflitti di questa guerra mondiale a pezzi.
Sui fondali del Mar Rosso sono poggiati i cavi in fibra ottica che garantiscono l’enorme flusso di dati che intercorre tra Europa, Africa, paesi della Penisola Araba, ma anche India e Estremo Oriente.
Va infine aggiunto un particolare sottaciuto: sui fondali del Mar Rosso sono poggiati i cavi in fibra ottica che garantiscono l’enorme flusso di dati che intercorre tra Europa, Africa, paesi della Penisola Araba, ma anche India e Estremo Oriente. Un conflitto aperto in quest’area, secondo molti esperti, potrebbe metterne a rischio l’operatività compromettendo in larga misura le telecomunicazioni tra Europa, Medio Oriente e India . Nuovo capitolo, che rischia di essere incandescente, della guerra mondiale a pezzi.
Ma non è finita qui ..
Lo scenario che preoccupa di più per il 2024 è il ritorno di Trump alla Casa Bianca.
pH Guy DerkeryverL’articolo Una guerra mondiale a pezzi è già apparso su Il Corriere Nazionale.