Foto: Realizzazione molo a chiusura di una zona portuale nel Firth of Forth, la foce del fiume Forth a Edimburgo
ANTROPOCENE, INFRASTRUTTURE E ACCORDI DI CONVIVENZA
Testo e foto di Alessandra Gentili
Si chiama Antropocene il periodo che stiamo vivendo, caratterizzato da un considerevole impatto umano sull’ambiente. È un termine coniato dal chimico Paul Crutzen il quale, nel corso dei suoi studi, ha rilevato un aumento significativo delle concentrazioni di gas serra. Analizzando gli strati terrestri, ha dimostrato che questo significativo aumento è iniziato parallelamente all’epoca in cui James Watt inventò la macchina a vapore (1784), ed iniziò la combustione di combustibili fossili su scala industriale.
Amin e Thrift hanno scritto: “Le infrastrutture generano la circolazione, che genera le città, che generano l’Antropocene” (2016, p. 33, cit in Bingham, 2018). L’Antropocene, quindi, pone l’umanità di fronte a un problema ambientale che richiede una risposta. Per poter vivere sulla terra, convivere con altri esseri viventi e con l’ambiente, gli esseri umani hanno adottato fino ad oggi un approccio che ha tenuto conto solo delle esigenze umane, e che ha causato molti problemi. Una soluzione potrebbe essere quella di riformulare questo approccio ma, la riformulazione, richiede lo sviluppo di una prospettiva sistemica, vale a dire una visione in cui vi sia consapevolezza degli intrecci esistenti e di come questi intrecci sono in relazione tra loro. Ma cosa si intende per intrecci? Gli intrecci sono i legami esistenti tra noi esseri umani, gli esseri viventi non umani, l’ambiente e le cose. Le infrastrutture urbane, ad esempio, sono cose che condizionano il contesto sociale. Dall’altra parte, il contesto sociale condiziona la costruzione delle infrastrutture, perché ne richiede l’esistenza e la funzione, spesso senza la realizzazione di uno studio lungimirante sull’impatto ambientale. Analizziamo un po’ più nel dettaglio cosa significa.
Il quadro sociale è costituito dalle interazioni tra persone, animali, piante, tecnologia, ecc. La tecnologia rende vivibili gli ambienti, attraverso dispositivi chiamati infrastrutture. Le reti di collegamento includono strade, elettricità, fognature, acqua e IT (information Technologies). Le infrastrutture, quindi, modellano la struttura del quadro sociale e facilitano la vivibilità, e fin qui sembra tutto fantastico. Tuttavia, le stesse infrastrutture che migliorano la qualità della vita e determinano il successo economico delle città, possono creare disuguaglianza e, in alcuni casi, addirittura determinare la rovina dell’organizzazione sociale stessa. Analizziamone i motivi.
 

Le due foto sopra mostrano il litorale romano dopo una delle mareggiate del 2016. Come si può vedere, il mare si è ripreso i suoi spazi, togliendo la spiaggia agli stabilimenti balneari e travolgendo le cabine. Questa zona del litorale è soggetta a costanti interventi di ripascimento che non sono risolutivi, e dimostrano che il tentativo umano di interferire con il disegno naturale dell’ambiente, non fa che procurare retroazioni negative costanti. Parlare di questi avvenimenti come se noi umani fossimo delle povere vittime in balia della furia della natura, significa alterare la realtà e non avere chiarezza di ciò che realmente accade. Quindi le misure che saranno adottate, non risolveranno il problema. Già negli anni ’80, in fase progettuale, si discuteva dei potenziali effetti che avrebbe potuto provocare sul litorale laziale l’ampliamento del porto di Nettuno, in provincia di Roma. Lo stesso dicasi nel 2000, per la realizzazione del porto di Roma. Tuttavia i porti sono stati comunque realizzati. In generale la realizzazione di un porto, prevede scavi, riempimenti, bonifiche e chiusura di alcune porzioni di mare. Si tratta, come tutte le infrastrutture, di una interferenza con l’ambiente. Non vengono presi accordi di convivenza con le parti che solitamente non hanno la parola, come ad esempio l’ambiente, la flora e la fauna che lo abitano. La loro costruzione modifica le correnti marine, e con esse la forza dei movimenti dell’acqua; interviene inoltre in modo diretto sull’ecosistema marino. Con il passare degli anni, queste modifiche delle correnti iniziano ad erodere nuove parti della costa, che vengono sottoposte ad interventi di recupero delle spiagge attraverso l’immissione di materiale tolto da altre parti di costa. Inizia cosi un circolo vizioso che non vede la parola fine.
L’antropologa Annemarie Mol (Mol, 2010) suggerisce di guardare le infrastrutture con occhi diversi: non limitarsi a tubi, strade e cavi, ma capire come esse modellano la vita. Una città, ad esempio, è il risultato di numerose forze che si intrecciano e prendono forma. Pensiamo al movimento generato dai vari elementi: corpi, acqua, cibo, rifiuti, energia, reti. Il modo in cui questi elementi sono organizzati modella la forma con cui l’essere umano affronta le sue relazioni. Ma allora perché le infrastrutture possono generare disuguaglianza? Perché, soprattutto nelle grandi città, le infrastrutture non sono uniformemente presenti e funzionanti. Quindi i cittadini potrebbero non avere lo stesso livello di accesso ai servizi. Questo crea una disuguaglianza (Bingham, 2018). Ne è un esempio la città di Mumbai, in India, dove la rete idrica serve solo alcuni cittadini. La parte della popolazione non servita è sottoposta a rischio igienico, o utilizza fiumi e sorgenti per lavarsi e fare il bucato causando così inquinamento. Per comprendere meglio il ruolo che le infrastrutture hanno nel modellare la vita, abilitante da un lato, ma limitante dall’altro, torna utile lo scrittore Amitav Ghosh (Bingham, 2018). Mumbai è una città che ha avuto un successo economico proprio grazie alle infrastrutture. Tuttavia, l’acquazzone che la colpì nel 2005 causò il cedimento dell’intero sistema infrastrutturale, che non resse agli eventi climatici: i ruscelli strariparono mescolandosi a liquami e rifiuti pericolosi. Tutti i collegamenti e le comunicazioni furono interrotti. Scrive Ghosh: “…con catastrofica repentinità, la gente della città si è trovata ad affrontare i costi di tre secoli di interferenza con l’ecologia di un estuario” (2016, p. 45, in Bingham, 2018). Un tempo, infatti, la città era costituita da un estuario, con due grandi isole vicine alla terraferma che, durante la dominazione inglese, venne rimaneggiata con ponti, terrapieni e bonifiche, che soffocarono i torrenti. Proprio questo provocò il collasso che paralizzò la città nel 2005. Ciò che aveva reso Mumbai vivibile fu anche la causa del suo disastro: le stesse infrastrutture che ne hanno consentito il movimento, l’hanno paralizzata in risposta all’alluvione.
Ecco perché gli scienziati sociali suggeriscono dl ripensare alle modalità di convivenza come risposta all’Antropocene modificando l’approccio al sistema infrastrutturale. Smettere di usare il sistema infrastrutturale come mezzo di controllo dell’ambiente, ed iniziare a vederlo come parte di trame che modellano la città. Questo prevede il dare voce a parti del quadro sociale che solitamente non ce l’hanno perché, in un accordo di convivenza, è giusto che tutte le parti siano interpellate. Approfondiremo questo argomento in un prossimo articolo.

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