Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος,
καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν,
καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος.
In principio era la parola
e la parola era presso al dio
e dio era la parola. (Giov.I,1)
 
A 16 anni, mi venne l’idea di tradurre “letteralmente” dal greco il celeberrimo passo sopra citato del Vangelo di Giovanni.
Una prima traduzione strettamente letterale, molto vicina a quelle dei testi ufficiali, è stata quella che si legge sopra.
Va detto che stiamo parlando di un esercizio linguistico da “dilettante” in senso stretto. Svolto per il puro piacere di osservare i diversi significati che può assumere un testo a seguito di una traduzione, da una lingua ad un’altra. Un’esercitazione che Giacomo Leopardi avrebbe classificato fra gli “studi leggiadri”: in quella piccola parte delle attività di studio che ci procura, un po’ di piacere (mentre la parte, molto più grande, che ci costringe a soffrire sopra “sudate carte”). Preciso che questo esercizio non aveva nessuna pretesa ottenere una traduzione filologicamente corretta. E tantomeno intendeva addentrarsi in un’interpretazione ortodossa del Vangelo.
Un problema che mi ha sempre affascinato è quello del rapporto fra ciò che denominiamo “pensiero” e ciò che denominiamo “parola”, ossia il rapporto fra il pensare e il dire.
La traduzione di questo testo si presentava come particolarmente interessante nel caso in esame perché la parola “logos” nella lingua greca antica può avere sia il significato di “parola” sia il significato di “pensiero”. Non solo, questa parola nello stesso testo assume il significato, nientemeno che, di “Dio”. (N.B. Nel testo in greco “dio” “θεὸς” è scritto con lettera minuscola; in italiano traduciamo scrivendo Dio con la “d” maiuscola seguendo in questo tutte le traduzioni ufficiali)
Per evitare di essere accusato di invasione non autorizzata nel campo della filologia o della teologia ripeterò che l’esercizio di traduzione è quello di un dilettante e ha soltanto lo scopo di esporre alcune riflessioni personali spontanee, suggerite dal testo.
Veniamo all’esercizio.
Nella traduzione sopra riportata sostituiamo “pensiero” a “parola”. La traduzione risulta come segue.
In principio era il pensiero
e il pensiero era presso al dio
e dio era il pensiero.
La traduzione della parola greca “logos” con la parola italiana “pensiero” – in luogo della parola “parola” – mi sembrò allora, e mi sembra ancora, molto appropriata perché:

Il pensiero si forma nella mente umana prima della parola: prima si pensa e poi si parla o si scrive;
Nella mente di Dio “pensiero” e “parola” devono essere pensati come la stessa cosa: Dio pensa in tutte le lingue possibili e quindi non ha bisogno di usare parole di qualche lingua particolare se non quando vuole parlare con gli uomini;
La parola “pensiero” appare particolarmente idonea a esprimere il concetto di “spirito”: realtà, ente non materiale, quale caratteristica essenziale di Dio.

Precisato quanto sopra, azzarderemo una parafrasi interpretativa (ovviamente solo “laica”) del significato del nostro testo.
All’inizio, all’origine di tutte le cose c’era una “realtà” (un ente) al quale diamo il nome di “pensiero”. Il pensiero era connaturato con Dio e Dio era il pensiero.
In sintesi: l’essenza di Dio è il pensare.
Ed ecco alcune delle riflessioni spontanee che si sono formate nella mente di chi scrive.
Anche l’essere umano, essere limitato, imperfetto, creatura materiale e mortale, quindi e realtà infinitamente inferiore a Dio, è “ente pensante”.
Sorge questa questa domanda: “Il pensiero dell’uomo e il pensiero di Dio hanno qualcosa in comune?”
La risposta, ad avviso di chi scrive, è affermativa se non altro per questo motivo.
Se il pensiero dell’uomo fosse diverso nel suo svolgersi da quello di Dio l’uomo non avrebbe nessuna possibilità di formare nella sua mente l’idea, il concetto, di Dio. Ma, a quanto risulta a chiunque, nella mente umana si forma senza difficoltà il concetto di un Ente dotato di tutte le perfezioni, di essere perfetto, appunto il concetto di Dio.
Prendiamo atto dunque che il pensiero dell’uomo e il pensiero di Dio si svolgono allo stesso modo. A questo punto osserveremo che esiste una legge universale e assoluta che presiede alla formazione di tutti i pensieri. La legge che viene denominata con la parola “logica”. Quella legge che ci impone di pensare ad es: che 1+1=2; che “sì” non significa “no”, che “uguale” non vuol dire “diverso”; che una cosa esiste e nello stesso tempo non esiste.
Questa legge, se le osservazioni sopra svolte sono corrette, vale dunque allo stesso modo per il pensiero dell’uomo e per il pensiero di Dio.
Questa conclusione ne comporta un’altra, a nostro parere, della massima importanza: uomo e Dio possono capirsi perché pensano secondo la stessa logica.
Chi scrive è convinto che molte altre conclusioni, tutte della massima importanza per la condizione umana, sono implicite in detta conclusione. Ma ad esse egli ci si dedicherà in apposite trattazioni.
Per ora si limiterà a proporre un’altra versione in italiano (sempre laica) di Giovanni I,1 come segue.
In principio era la logica
e la logica era presso al dio
 dio era la logica.
Naturalmente tutte le affermazioni sopra esposte restano aperte ad ogni possibile critica.
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