Il Vangelo ha aperto le porte ad una nuova coscienza, ad un nuovo sentimento di speranza dell’umanità attraverso il messaggio di Gesu che ha abrogato l’antico patto delle scritture veterotestamentarie (che hanno ampiamente previsto la venuta del Messia) e sancito un nuova alleanza con l’umanità. Da questo episodio mistico e storico la coscienza dell’uomo, ansiosa di salvezza e che ha seguito Cristo prima e dopo il suo calvario, prima e dopo la sua missione umana e divina attraverso i primi testimoni della nuova coscienza cristiana(da San Giacono il minore a San Paolo, da Pietro a Giovanni), è stata rischiarata da un messaggio d’immortalità dell’anima e di salvezza universale per chi crede nel Cristo. San Paolo ha scritto che per lui “Vivere è il Cristo”(Fil, 1, 21), quest’ultimo primogenito della creazione e primogenito dei morti. Quei dodici apostoli che hanno seguito, amato, abbandonato e poi, energizzati da Dio, sono diventati “conquistatori di anime” pronti a compiere l’evangelizzazione del mondo,non si sono arresi all’ascesa in cielo di Gesu e dopo dieci giorni di traviamenti, dubbi, perplessità, invasi dallo Spirito di Dio((Atti degli Apostoli, 2, 2-13) hanno trasformato la loro vita da apostoli di Gesu ad apostoli del mondo, da umili discepoli ad ardenti conquistatori e evangelizzatori “fino all’estremità della Terra”.
C’è viva discussione tra teologi, vescovi, sacerdoti se sia più importante esporre il simbolo di sangue, supplizio e morte del crocifisso o l’immagine, tra sereni sprazzi e viva luce di verità, del Cristo risorto: vera immagine di salvezza universale ma, più di tutto, di vittoria contro la morte e vita eterna. Cristo risorto vale più della dolente immagine di Gesu ferito nel costato, trafitto dai chiodi e sanguinante da una Croce con il capo coperto da una corona di spine? Forse si.
Gli episodi, i miracoli,i discorsi, le profezie, le maledizioni e benedizioni, le parabole e le intuizioni di Gesu attraversano il Vangelo come fiumi di Verità che travolgono il passato per penetrare l’oceano del futuro e conoscono bene le tenebre che hanno voluto rischiarare. La Risurrezione di Gesu è la vittoria contro la morte: quel “pungiglione” contro cui Gesu stesso, risorto dalle tenebre, ha vinto così che con lui vincesse tutta l’umanità redenta contro l’atavico, umano terrore della morte stessa. “Morte, dov’è la tua vittoria?!Dov’è il tuo pungiglione?” scriverà San Paolo(prima lettera ai Corinzi, 15, 54-56), quasi ponendo ex post il grandioso e drammatico interrogativo sulle labbra del Cristo risorto che ha vinto la più grande paura dell’umanità. Ma quella vittoria che squarcerà la tenebra del mondo sarebbe solo un’impresa divina senza che popoli e cristiani non continuassero a percepire che l’Amore è simbolo assoluto del messaggio di Gesu oltre il quale si staglia, maestosa e misericordiosa, la promessa che coloro che crederanno in Gesu non moriranno mai ma “saranno premiati” con le chiavi della porta della vita eterna, il grande cancello che apre ai defunti il sentiero dell’immortalità e scaccia dal cuore degli uomini il terrore della morte. E’ questo il messaggio d’amore più significativo, il lascito del messaggio di Cristo più tenero e divino per l’umanità: l’idea, così presente già nell’Antico testamento ma rifulgente in Gesu, che la vita terrena è solo una preparazione ad una vita eterna.
Molti episodi dei Vangeli sinottici(i primi tre vangeli) comprovano il messaggio di misericordia e carità che il Nazareno ha insegnato a tutti i paesi, regioni, città che egli ha toccato, dalla Galilea a Gerusalemme, dalla Giudea alla Samaria. C’è, tuttavia, un episodio nei soli Vangeli di Luca(10, 38) e Giovanni( cap XI-XII), episodio scevro da manifestazioni miracolose e infiammati discorsi di Gesu, un episodio breve per un capitolo breve, racchiuso tra calorose pareti domestiche che riesce, più di altri, a esprimere nella sua semplicità (e nella reazione del momento di Gesu) quella calma del suo messaggio d’amore che esalta la pace e la Verità, simboli divini e umani della sua persona. Ci si riferisce all’incontro di Gesu con Marta e Maria nella loro casa di Betania. Questo episodio non ha bisogno di miracoli, croci insanguinate, folle acclamanti o montagne di Gloria ma spiega in modo forse ancor più esaustivo la figura e il messaggio d’amore di Cristo. La casa di Betania era uno dei più cari rifugi dell’amicizia per Gesu: casa discreta ove Cristo trovò quell’intimità di affetti e sincerità di sentimenti  prima che la sua vita precipitasse nel turbine degli eventi tragici che corredarono i suoi ultimi giorni.
La casa  di Betania è come un “dono di pace” che riesce a confortare il lettore prima che gli eventi precipitino. Marta e Maria sono sorelle, la prima tutta donna concreta e laboriosa,tesa a preparare con solerte energia  e concretezza i preparativi materiali per accogliere l’ospite; la seconda tutta sete di Verità, commossa immagine di donna dolce sino alle lacrime nel suo desiderio mistico di ascoltare i discorsi dell’amato ospite lontano da rumori disturbanti. Maria impersona quella tenera ma indomabile fede nella semplicità dei suoi occhi sempre un po’ umidi: una donna contemplativa smarrita nell’estasi della sua fede al contrario di Marta, audace, laboriosa, energica. Il contrasto tra le due donne è solo apparente poiché, a ben riflettere,  entrambe hanno una comunione d’intenti: ricevere nell’amore casalingo Gesu e goderne le parole. Marta lo  fa traducendo in fervida azione la sua fede, Maria nella contemplazione timida ma ardente al suo ospite. Gesu sa tutto  questo e, pur non tralasciando completamente Marta dal suo monito, conversa con Maria senza eludere  del tutto sua sorella che esprime in operosità esterna la sua devozione.
E quando Marta, impegnata nei preparativi per la cena, chiederà  a Gesu “Signore non t’avvedi che mia sorella Maria m’ha lasciata sola qui a preparare e servire?!”, Cristo risponderà con  una frase che nella semplicità dell’occasione racchiude l’intero suo messaggio. Dirà “Marta, tu t’affanni per  molte cose ma di una sola cosa hai bisogno. Maria ha preso la parte migliore e non le sarà tolta”. Quella  “sola cosa” di cui Marta ha bisogno è l’Amore, tanto simbolico in quell’occasione di serenità psicologica di  Gesu, lontano da folle bisognose o eventi soprannaturali, come la “parte migliore” che si è presa Maria è l’ascolto attento alle parole di Cristo, tutta presa dalla verità che esse trasmettono nell’alveo della devozione commossa all’ospite appena giunto. Nell’intimo tepore della casa amica di Betania Gesu raccoglie in una frase il significato della sua missione rivolgendosi a Marta ma,  indirettamente, a tutti i suoi discepoli e al mondo che leggerà, in quegli sprazzi di calore domestico ove emerge il  sigillo che Gesu ha lasciato cioè che l’amore è ciò che conta: il resto non sono che esteriori quanto futili  orpelli.
Yari Lepre Marrani

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