di Davide Romano
Il celibato dei sacerdoti, una pratica saldamente radicata nella Chiesa cattolica, trova il suo fondamento diretto nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, dove Gesù stesso delinea il percorso per coloro che aspirano a diventare suoi discepoli. Attraverso questi testi, emerge uno stile di vita caratterizzato dall’abbandono totale delle cose terrene, un preludio alla promessa di una vita eterna.
Gesù, nei suoi insegnamenti registrati nel Vangelo di Matteo (19, 12), utilizza parole suggestive che la Chiesa Cattolica ha interpretato come un richiamo alla particolare condizione dei sacerdoti: “Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono altri che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca.” Questa condizione speciale, secondo l’interpretazione ecclesiastica, è destinata agli uomini scelti da Dio attraverso il sacerdozio, che riceveranno cento volte tanto e avranno in eredità la vita eterna (Matteo 19, 29).
Le medesime idee sono riflesse negli Evangelisti Marco e Luca, che confermano il concetto di rinuncia e la promessa di una ricompensa divina: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” (Marco 10, 29-30). Luca, in particolare, menziona esplicitamente la moglie nel contesto della rinuncia per il regno di Dio (Luca 18, 29-30).
Il cardinale Walter Brandmüller, nel suo articolo “Noi sacerdoti, celibi come Cristo,” sottolinea che Gesù esige dai partecipi della sua missione di adottare il suo stile di vita, che comprende la rinuncia a legami terreni e umani.
Anche nelle Lettere di Paolo, il celibato sacerdotale trova un sostegno. In 1° Corinzi 7, 33-34, Paolo afferma: “Chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie e si trova diviso!” Brandmüller interpreta queste parole come un richiamo diretto ai vescovi e ai sacerdoti, sottolineando che Paolo stesso avrebbe aderito a tale ideale.
La difesa di Paolo al celibato emerge anche quando solleva la questione di portare con sé una donna credente nelle sue missioni (1° Corinzi 9, 5). Brandmüller sottolinea che le domande retoriche di Paolo riguardano il diritto di coloro che annunciano il Vangelo di vivere a spese della comunità, e questa regola si applica anche a chi li accompagna. L’espressione greca “adelphén gynaìka” viene esaminata attentamente, indicando la presenza di una donna credente piuttosto che specificamente di una moglie.
In conclusione, il celibato sacerdotale, secondo l’insegnamento evangelico e le Lettere di Paolo, rappresenta un impegno radicato nella tradizione della Chiesa cattolica. Questo ideale, fondata su promesse di ricompense celesti e sulla consacrazione totale al servizio divino, continua a essere oggetto di studio e riflessione all’interno della comunità ecclesiale.