Editoriale di Daniela Piesco co-direttore Radici
Se gli eventi come le guerre, notoria continuazione della politica di stato con altri mezzi, hanno alle spalle una struttura economica, appare lecito domandarsi che peso abbiano gas e petrolio nel contesto del massacro in atto.Di fatto nel momento in cui l’Ue ha ridotto fortemente gli approvvigionamenti dalla Russia, il Medioriente e il Nord Africa (dove si trovano il 57% delle riserve mondiali di petrolio e il 41% di quelle di gas) hanno visto aumentare le richieste per le loro risorse energetiche.
L’obiettivo di Israele è quello di impossessarsi delle immense ricchezze costituite dai giacimenti di gas che spetterebbero ai palestinesi, sia il Gaza Marine che parte del Leviathan. Come rilevato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) le perdite per i palestinesi si stimano in centinaia di miliardi di dollari.
D’altronde l’investimento militare nello sterminio dei palestinesi deve essere ripagato dato che comporta perdite economiche valutate in 260 milioni di dollari al giorno.
I giacimenti del Mediterraneo orientale e (in subordine) i progetti statunitensi di una via alternativa alla Bri sono due elementi che aiutano a comprendere il massacro in atto volto a un controllo della costa palestinese con conseguente gestione dei canali commerciali.
Questo spiega i progetti di deportazione di oltre due milioni di persone e perché vengano scientemente bombardati abitazioni civili, ospedali, campi profughi, scuole, rifugi con l’obiettivo di fare piazza pulita della Striscia.
Quando Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2023 ha mostrato una mappa del “nuovo Medioriente” in cui non compariva la Palestina stava già delineando la realizzazione di questi piani.
Ma procediamo per gradi
Da oltre 20 anni, dall’attacco alle Torri Gemelle in poi, è stato abbastanza evidente che il terrorismo non sia un’ideologia, una religione, una corrente politica, bensì un mezzo,quindi la teorizzazione degli opposti terrorismi in medioriente punta a delegittimare il processo in corso, a congelare le dinamiche storiche e riconsegnare il discorso alle “agenzie internazionali”, ai laboratori a freddo, ai tavoli di discussione che hanno solo consentito 75 di occupazione indisturbata.
Sostenere la contrapposizione paritetica di due terrorismi, non spiega nulla del processo in corso, perché compara gli strumenti e non le cause che coincidono da oltre 75 anni, con le chiavi della lotta anti-coloniale e della lotta dell’oppresso contro l’oppressore.
E chi evoca il “divide et impera” in una dinamica di lotta tra oppresso e oppressore, ha già scelto da che parte stare, quella dell’oppressore.
Così come chi evoca l’equidistanza in una dinamica di ingiustizia tra le parti, è un Ponzio Pilato che difende lo stato delle cose.
La neutralità si fonda su una corretta valutazione dei fatti. Equiparare oppressi e oppressori non è neutralità, è complicità con l’oppressore.
I piani di pulizia etnica, trasferimento forzato di popolazione e, in ultima istanza, genocidio non corrispondono solo al razzismo intrinseco alla dottrina sionista, che nasce con tutte le peculiarità di un’ideologia colonialistica, e alla necessità di stroncare la lotta di liberazione nazionale palestinese, ma corrispondono anche agli interessi del capitale occidentale (israeliano e non solo). Questi piani si inseriscono a loro volta nel contesto più ampio dello scontro interimperialistico che vede gli Usa (e il subordinato europeo) sempre più in difficoltà sul piano strutturale nei confronti dei concorrenti cinesi. Difficoltà che porta l’imperialismo occidentale a cercare di utilizzare l’unica arma efficace che ha ancora a disposizione e uno dei pochi settori produttivi in cui mantiene una predominanza: la guerra.
Lo United States Geological Survey, agenzia scientifica del governo statunitense, fra il 2009 e il 2010 scopriva nel Bacino del Levante (Mediterraneo orientale) una quantità di gas e petrolio sufficiente a garantire per 50 anni le riserve mondiali di energia fossile. Gli stati interessati a questa posizione geostrategica determinante, che risolverebbe il problema energetico dell’Ue e la sua dipendenza dai rifornimenti russi, sono Siria, Libano, Israele, Gaza, Egitto, Turchia e Cipro
Fra i diversi giacimenti di gas e petrolio alla fine del 2010 veniva scoperto Leviathan situato a meno di 200 chilometri dalle coste della Striscia di Gaza e di Israele e che si trova dunque in parte nelle acque territoriali di Gaza, dove si trova anche il giacimento denominato Gaza Marine (si stima contenga 1.000 miliardi di metri cubi di gas) appartenente ai palestinesi e scoperto nel 1999 dalla British Gas (ora assorbita da Shell)
Nel 2007 Moshe Ya’alon, futuro vice primo ministro (2009-2013) e ministro della difesa israeliano (2013-2016), avvertiva che «il gas non può essere estratto senza una operazione militare che sradichi il controllo di Hamas a Gaza»[2] e nel dicembre 2008 scattava contro la Striscia di Gaza l’operazione “Piombo fuso”, di cui l’operazione Spade di ferro in atto costituisce la prosecuzione su più ampia scala, con l’obiettivo di impossessarsi definitivamente delle riserve marittime palestinesi. Al termine dell’operazione i giacimenti di gas palestinesi venivano confiscati da Israele in violazione del diritto internazionale.
I governi israeliani hanno delineato nel corso degli anni un progetto per trasformare il loro paese in un punto di snodo per il trasporto del gas verso l’Europa. Fra il 2021 e il 2022 Israele ed Egitto, in concomitanza con l’aumento dei prezzi delle risorse energetiche determinato dalla guerra in Ucraina e dalla disperata ricerca di risorse alternative da parte degli europei, hanno tenuto incontri segreti aventi per oggetto lo sfruttamento dei giacimenti al largo delle coste di Gaza, accompagnati dalla firma di un memorandum tra Egitto e Israele con il beneplacito dell’Anp.
Un documento del ministero dei servizi segreti israeliano, datato 13 ottobre, raccomanda la deportazione degli abitanti di Gaza (2,3 milioni o quel che ne resterà) nella zona desertica del Sinai egiziano, impedendo ai palestinesi la possibilità di rimettere piede vicino ai confini israeliani (non giuridicamente delimitati visto che i sionisti puntano alla realizzazione del Grande Israele). Il piano si articola in tre fasi: 1) costringere la popolazione stanziata nel nord della Striscia (oltre un milione di persone), sottoposto a bombardamenti massici, a spostarsi verso sud; 2) far entrare l’esercito israeliano a Gaza in modo da occupare l’intera Striscia ed eliminare le postazioni di Hamas; 3) trasferire la popolazione in territorio egiziano da cui non dovrà fare più ritorno All’Egitto, le cui condizioni economiche sono gravi, è stato proposto l’annullamento dell’intero debito estero (135 miliardi di dollari). Al-Sisi ha però rifiutato, almeno per ora, l’offerta probabilmente perché non vuole trovarsi in casa gli uomini di Hamas originatasi dai Fratelli musulmani che l’Egitto ha messo fuorilegge.
A scanso di equivoci conviene ricordare che questi piani non sono dettati dalla rabbia suscitata per le vittime israeliane dell’attacco del 7 ottobre, ma costituiscono l’attuazione di un progetto preesistente insito nella natura e negli obiettivi finali del sionismo.
Eppure cinque settimane di crimini ininterrotti contro l’umanità non solo non hanno piegato la resistenza del popolo palestinese, non solo non hanno portato alla capitolazione armata di Hamas, ma hanno addirittura ricompattato le sigle palestinesi intorno a questa battaglia.
Israele ha spazzato via in poche settimane le uniche ragioni che giustificavano la sua esistenza.
Se è vero che le vittime israeliane dell’attacco del 7 ottobre sono state 1,200 (non esistono video, prove, però, e quelle poche evidenze a disposizione dimostrano piuttosto che buona parte di quelle vittime sia stata prodotta dalla reazione scomposta e impreparata dell’Esercito israeliano che a quel punto ha aperto il fuoco nel mucchio, senza fare distinzioni tra miliziani di Hamas e civili israeliani), e se le vittime palestinesi sono oltre 11mila, abbiamo raggiunto una soglia psicologica tutt’altro che secondaria: 10 palestinesi uccisi ogni israeliano ucciso è lo stesso rapporto preteso dalla rappresaglia nazista in rotta durante la seconda guerra mondiale.
pH: Fernando Oliva