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Del 1 Novembre 2023 alle ore 21:22E’ sorprendente come gli etiopi siano affezionati a Taitù Batùl, l’imperatrice che gli italiani chiamavano Regina Taitù. Fu incoronata insieme al marito Menelik II nel 1889, fu sempre partecipe negli affari di stato e molto attenta ai bisogni della popolazione; e anche con lungimiranza, visto il sospetto con cui guardava l’Italia. Con ottime  ragioni: il Trattato di Uccialli fu stipulato tra Italia ed Etiopia in due lingue, l’amarico che è l’ufficiale lingua etiope e l’italiano. Ma nella parte in lingua amarica non si parlava di trasformare l’Etiopia in protettorato italiano, mentre in quella in lingua italiana sì…(ohibò…!).
Offesa,Taitù mostrò grande fermezza quando le truppe italiane invasero il suo paese da nord provenendo dall’Eritrea, già colonia italiana: marciò insieme al marito e all’esercito fino ad Adua, sconfiggendo l’esercito italiano nel 1896. Aveva comandato lei i cannoneggiamenti (bella tempra di donna, non c’è che dire). Gli etiopi la chiamano “mamma pane” perché proprio in quell’occasione faceva distribuire il pane a tutte le truppe, non solo ai suoi soldati ma anche a quelli italiani: esempio unico di generosità verso il nemico.
E fu lei a far piantare i boschi di eucalipto nella parte alta di Addis Abeba, per far sì che il legname fosse d’aiuto al suo (poverissimo) popolo.
Una donna sfortunata, che morì in esilio dopo che la malattia del marito fu usata come pretesto per emarginarla dalla vita politica. Di Menelik II si può vedere la statua in mezzo a Piassa, il rione tipico più frequentato dagli italiani dal 1935 in poi; e gli italiani ricorderanno la canzoncina di quel periodo (“O Menelikke, son palle di cannone e non pasticche…”).
Insegnando Storia al Liceo Scientifico  nel compound italiano, non nascondo di aver provato un certo imbarazzo nel trattare quel periodo storico…Però, sorprendentemente, una volta gli studenti mi dissero che sentivano queste parole dai nonni: “…l’Etiopia ha avuto una sfortuna sola,  che gli italiani sono andati via…!”. Stentavo a crederci, dopo i fatti accaduti dal ’35 al ’41. Poi tutto mi è apparso chiaro. Ci sono state sì le stragi di  Graziani (anche peggiori di quanto si è tramandato…), ma gli italiani hanno lasciato al paese strade, edifici, e anche una diga: mai in Etiopia si era visto niente del genere. O meglio: i nonni non l’avevano mai visto, certamente.
Ma per fortuna i giovani, più smaliziati, si rendono conto che niente ha potuto ripagare le sofferenze del loro paese in quel periodo. Tanto più che ormai quelle strade, senza manutenzione, sono malridotte e la diga è piena di terra…
Però, come dicevamo, l’Etiopia è in via di sviluppo e le sue potenzialità sono molte. Forse vedremo i risultati fra una decina d’anni o anche oltre: ma sicuramente li vedremo.
Sandra Fallaci©
 L’articolo Etiopia: Mamma pane è già apparso su Il Corriere Nazionale.

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