Del 20 Ottobre 2023 alle ore 13:49All’incontro hanno partecipato anche i neo assunti consiglieri di prefettura
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato questa mattina al Quirinale il Ministro Matteo Piantedosi insieme a tutti i prefetti del Paese. All’incontro hanno partecipato anche i consiglieri di prefettura del VII corso che hanno assunto servizio, da poche settimane, al ministero dell’Interno.
Durante l’evento, al quale hanno preso parte il Segretario generale della Presidenza della Repubblica, Ugo Zampetti, e il Capo di Gabinetto del Ministro, Maria Teresa Sempreviva, il ministro Piantedosi ha pronunciato un discorso rivolto al Capo dello Stato.
Di seguito, il discorso integrale del Presidente della Repubblica:
“Ringrazio molto il Ministro anche di questa occasione.
È consueto che vengano accolti al Quirinale, per un saluto, i giovani magistrati ordinari appena entrati in servizio. Lo stesso avviene per i giovani diplomatici in occasione dell’incontro con gli Ambasciatori stranieri accreditati a Roma. Di recente è avvenuto per i giovani magistrati contabili.
Sono lietissimo che avvenga con i giovani funzionari appena entrati nel ruolo delle Prefetture e ancora di più che siano accompagnati dai Prefetti del nostro Paese, Presidenti delle Province e quelli con altre funzioni centrali e che raffigurano il traguardo auspicato della carriera dei giovani funzionari.
È con loro che vorrei condividere qualche riflessione sulla importante scelta che hanno compiuto con questa scelta professionale.
Il titolo di un articolo scritto da Luigi Einaudi, con lo pseudonimo di Junius, per la Gazzetta Ticinese del 17 luglio 1944 – durante il suo forzato esilio in Svizzera – suscitò, a lungo, curiosità, per le affermazioni e per la sua perentorietà.
Il titolo era eloquente: “Via il Prefetto!”.
Argomentava, con parole forti, il professor Einaudi che “non si avrà mai democrazia finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto”.
Il modello contro il quale si scagliava, era quello dello Stato accentratore, di tipo napoleonico, che il Regno d’Italia, raggiunta da poco l’unità nazionale e timoroso di spinte dissociative, aveva ritenuto di prendere come base la propria esperienza in divenire.
Nell’immagine che Einaudi raffigurava, le autonomie locali venivano regolarmente conculcate dai prefetti. “Le deliberazioni e l’attuazione non spetteranno al consiglio municipale ed al sindaco, al consiglio provinciale ed al presidente, ma sempre e soltanto al governo centrale, a Roma; o, per parlar più concretamente, al ministro dell’Interno. Costui è il vero padrone della vita amministrativa e politica dell’intero Stato”.
È cambiato il mondo, signor Ministro.
Probabilmente era influenzato dalla antica dichiarazione di Crispi, secondo il quale risultava necessario che “lo Stato presso ogni Comune e presso ogni Provincia abbia un funzionario che ne curi gli interessi” e che prospettava un occhiuto strumento di visione centralista, avversario se non addirittura nemico delle autonomie.
Una visione che opponeva comunità, libertà locali e Stato.
Ho portato alla vostra attenzione questo passaggio di quello scritto di Einaudi, per riflettere insieme sulla strada compiuta con la Repubblica.
Einaudi, senatore del Regno, poi governatore della Banca d’Italia, poi primo Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento, uomo mite, non poteva passare facilmente per un massimalista o per un fondamentalista.
Immaginiamolo, per un attimo, presente tra noi qui, al momento in cui il Ministro ha pronunciato il suo intervento, il Ministro “Prefetto” Piantedosi: ascoltare così che “ai Prefetti è richiesto di essere solidi promotori di unità e coesione sociale e istituzionale, ma anche cruciali propulsori dello sviluppo dei rispettivi territori”.
Ne sarebbe stato rassicurato – come, peraltro, lo fu da Presidente della Repubblica – dalla evidente distanza dalle esperienze da lui illustrate in quell’articolo.
Quel che siamo oggi, quel che voi – che iniziate la carriera prefettizia – siete e sarete, quel che sono i prefetti oggi, è il frutto di 75 anni di Costituzione che ha posto – e vede – naturalmente, l’istituto prefettizio non in opposizione rispetto alle istituzioni territoriali ma – con il ben noto sentimento di senso delle istituzioni – convintamente in posizione di servizio rispetto alle finalità che la nostra comunità nazionale si è data e persegue.
La tradizione prefettizia assume, in base alla Costituzione, una configurazione conseguente: da cinghia di trasmissione di volontà centrali verso la periferia è divenuta, infatti, elemento di raccordo e anche momento di ascolto delle istanze delle periferie verso il centro.
È questo quel che ha consentito di respingere e rimuovere le offensive contro il ruolo e la stessa esistenza della figura del Prefetto, e che io rammento bene perché ancora presenti negli anni cinquanta e sessanta: è l’esser divenuti sostegno e, sovente, anche rifugio e punto di garanzia del ricco tessuto delle autonomie.
Il Ministro ha definito – poc’anzi – i Prefetti “il cuore della Repubblica” perché chiamati a rappresentare “la presenza tangibile dello Stato sul territorio”.
Condivido, e vorrei ricordare il titolo di una lezione universitaria del Ministro Piantedosi, di alcuni anni fa, dove vengono collegati due aspetti: l’interesse generale e il ruolo dei Prefetti.
La natura stessa degli Uffici Territoriali del governo suggerisce una vocazione all’unitarietà di azione che accompagna il perseguimento dell’interesse generale.
Unitarietà nel rispetto dell’articolazione istituzionale in cui si articola la convivenza civile della nostra comunità.
Una unitarietà in cui, a ispirare ogni comportamento, è quel principio di legalità su cui anche, e particolarmente, i Prefetti sono chiamati a vigilare. Principio che deve guidare – come insegnava Mortati – i rapporti tra le istituzioni e gli organi della Repubblica.
Del resto – e ci soccorre l’art. 97 della Costituzione – si tratta di un criterio base che sorregge i propositi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
Costituire il raccordo per perseguire l’interesse generale della comunità, dell’intera Italia, è tanta parte del lavoro quotidiano che svolgete.
La cura nel monitoraggio dell’adeguatezza e efficacia dell’azione delle amministrazioni per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini è un altro aspetto sostanziale della capacità di rendere effettivo il vigore della Costituzione nella vita di ogni giorno.
I Prefetti – e gli uffici da loro diretti – sono, per definizione, presidi di legalità, e l’attenzione dei cittadini verso la tutela dei diritti, nella cornice di sicurezza – di cui poc’anzi faceva cenno il Ministro – che le istituzioni devono assicurare, li interpella in modo crescente.
Il contesto nel quale ci troviamo ad agire rende particolarmente impegnativi i vostri compiti.
Si diffondono, infatti, germi della pseudocultura della violenza e dell’odio, a livello internazionale e interno. E questo alimenta minacce anche di natura terroristica e comportamenti che aggrediscono la libertà dei cittadini, ai quali vanno sempre garantiti i diritti fondamentali di espressione, associazione e riunione, sanciti dalla nostra Carta fondamentale.
I Prefetti sono stati, sovente, definiti come organi dello Stato a “geometria variabile”, per indicarne la vocazione all’adattamento e alla presa in carico di sfide e missioni che si presentano di volta in volta.
Anche in questo nostro tempo, non sono mancate le “emergenze”.
La risposta che la Repubblica ha saputo offrire ai propri cittadini è testimonianza dell’efficacia dell’azione della rete che vede, insieme con gli Uffici territoriali di governo, le autonomie locali, la società civile nelle sue diverse espressioni, il prezioso mondo del volontariato.
Ne è emerso evidente, ancora una volta, il ruolo di “prossimità” dei Prefetti alle comunità locali. Nelle condizioni di disagio dei nostri territori i Prefetti assumono il volto emblematico della Repubblica.
Sismi, alluvioni, dissesti, disastri di natura varia ci affliggono con una frequenza che ha portato a definire protocolli e modelli di intervento collaudati, oltre che a sollecitare politiche non solo di mitigazione, ma anche e soprattutto di prevenzione dei fenomeni infausti e dolorosi che si ripetono.
Occorre, correttamente, passare dalla cultura dell’emergenza alla capacità di affrontare i nodi alla base dei fenomeni, con scelte coraggiose a tutela anzitutto della vita e del futuro dei cittadini e delle comunità.
Desidero rinnovare, in questa occasione, ancora una volta, l’apprezzamento e la riconoscenza per la intelligente ed efficace azione dispiegata dalle Prefetture di fronte alle avversità degli ultimi mesi.
Il tema delle immigrazioni irregolari, con il dramma dei minori non accompagnati, si inserisce in questo quadro.
Appare forse incongruo definire emergenza un fenomeno con il quale ci si confronta da anni.
L’Unione Europea sembra, finalmente, averne colto la natura non congiunturale e la necessità di affrontarlo alla radice e in maniera solidale, come questione e compito comunitario, ancora più urgente alla luce dei drammatici avvenimenti in Medio Oriente.
Citando Calamandrei, poc’anzi il Ministro dell’Interno, ha affermato di pensare che la autentica missione del “corpo prefettizio” sia quella di far “muovere la Costituzione, farla vivere nella società”, rendendone così sempre attuali e concreti i contenuti.
È una espressione suggestiva e felice.
La Carta costituzionale è, in questo senso, in eterno movimento, suggerendo la coerenza con i suoi principi delle politiche chiamate a rispondere ai temi che l’evoluzione della società propone di volta in volta.
Permettetemi, allora, di aggiungere un’ulteriore immagine a quella che vi appartiene, di fedeli funzionari della Repubblica.
Quella di essere, “operatori della Costituzione”.
Auguri.”
L’articolo Al Quirinale, cerimonia con Piantedosi per insediamento nuovi prefetti, Mattarella: “Buon lavoro a fedeli operatori della Costituzione” è già apparso su Il Corriere Nazionale.