Del 19 Ottobre 2023 alle ore 18:31Ossia perché lo Stato Italiano ha prima introdotto e poi osteggiato il superbonus
Immaginiamo di avere un’impresa edile, impegnata nell’efficientamento energetico – superbonus 110%, quello, per intenderci, dell’art. 119 del DL n. 34/2020 (decreto Rilancio).
il decreto instaurava una detrazione dalle tasse del 110% delle spese sostenute a partire dal 1 luglio 2020 per la realizzazione di specifici interventi finalizzati all’efficienza energetica e al consolidamento statico o alla riduzione del rischio sismico degli edifici.
La misura ha un triplice obiettivo:
Rendere più efficienti energeticamente gli immobili italiani, riducendo così la spesa energetica (e quindi il deficit della bilancia dei pagamenti)
Far emergere quella parte di sommerso che c’è nel settore
Rilanciare il settore edile.
Immaginiamo che la nostra azienda faccia un intervento con un Quadro Tecnico Economico (valore dei lavori e annessi, base imputabile per il calcolo del 110%) di un milione di euro. E seguiamo le tabelle di spesa indicate dal Ministero, restando sui minimi tabellari nei calcoli. Avremo
Seguendo questa logica, e applicando lo sconto in fattura, la nostra azienda avrà un credito fiscale di 1.100.000 euro.
Per utilizzare tale credito in cinque anni, dovrà, entro tale termine, eseguire lavori che non beneficino del superbonus a loro volta per un totale di 13.885.032 euro, ossia 2.78 lavori all’anno dello stesso importo di quello che ha goduto del beneficio fiscale.
Vi sono poi altri bonus, decennali, che ammontano al 90 o meno per cento del QTE.
In tal caso, avremmo, con gli stessi parametri della tabella sopra, 900.000 euro di vantaggio fiscale da recuperare in 10 anni, ossia 90.000 euro all’anno. Il che ci dice che per ogni intervento effettuato, se ne sconta un altro all’anno, fino a circa 12.50 interventi complessivi.
Fin qui tutto bene, dato che con questi parametri tutti gli obiettivi della misura sono potenzialmente perseguiti e forse raggiunti.
Ma cosa succede se questi parametri non sono rispettati?
Il NADEF[i] da poco pubblicato indica che “Nei conti pubblicati da Istat il 22 settembre scorso la spesa per i due bonus edilizi relativa al 2022 è stata rivista al rialzo (dal 2,6 al 2,8 per cento del PIL) rispetto alle stime dello scorso marzo.” Il Pil è stato, nel 2022, di 1.946.479 milioni di euro, il che farebbe ammontare il valore dei bonus a 54.5 miliardi miliardi per il solo anno 2022.
L’ENEA, ossia l’Ente incaricato della certificazione dei lavori al fine della fruizione del superbonus, ha dichiarato che a settembre 2023 il montante dei crediti per il solo superbonus aveva superato quota 89,5 miliardi, equivalenti a lavori per 81,5 miliardi circa, “a fine agosto il totale degli investimenti ammontava a 85 miliardi di euro, a fine luglio a 82,9, a fine giugno a 79,9, a fine maggio a 77, a fine aprile a 74,6, a fine marzo a 72, a fine febbraio a 68,5, mentre a fine gennaio il totale degli investimenti ammontava a 65 miliardi di euro”[ii].
89.5 miliardi di superbonus scontati in fattura, per esser assorbiti, quindi, comportano lavori non soggetti ad agevolazione fiscale per 273,4 miliardi circa all’anno nei successivi 5 anni.
Il mercato delle ristrutturazioni in Italia, nel 2018, era di meno di 50 miliardi di euro (49,6, secondo Statista)[iii]. Per assorbire quindi il vantaggio fiscale bisognerebbe quindi che ogni anno le aziende effettuassero lavori di ristrutturazione per 5.47 volte i lavori realizzati nel 2018.
Cosa che sarebbe fattibile, se il settore finanziario supportasse tali iniziative.
Tuttavia la contrazione della concessione di prestiti a privati ed imprese, dovuta all’aumento dei tassi di interesse che ha comportato una selezione drastica dei candidati al prestito secondo i parametri di Basilea, non può consentire un tale sforzo produttivo.
Inoltre, tale selezione, diminuendo altrettanto drasticamente la platea delle famiglie finanziabili, rende difficile ad esse anticipare i montanti necessari alle ristrutturazioni, spingendole ad effettuare i lavori solo in presenza di sconto in fattura.
Quindi gli obiettivi, dall’1 al 3, della misura vengono frustrati, rendendo per il lo Stato, solo dal punto di vista del settore edile, inutile tale misura.
Va bene, si è detto lo Stato: vuol dire che se le aziende non producono, non usano il credito. Io non ci avrò guadagnato secondo gli obiettivi prefissi, ma non ci avrò neanche perso.
Ma dal punto di vista delle aziende edili, si presenta una scelta obbligata: cedere il credito. D’altronde un credito fiscale può esser ceduto…
In Italia ci sono tante aziende che pagano tante tasse, ad esempio le aziende energivore, le aziende petrolifere, quelle di servizi… Loro sono dei candidati ottimali ad acquistare il credito fiscale prodotto dal settore Edile, anche a condizione di risparmiare solo 3 o 4 punti percentuali…
Ma l’acquisto da parte loro del credito non si tramuta in un maggior lavoro alternativo alle agevolazioni – come nel caso del settore edile – bensì in una perdita secca da parte dello Stato.
Quindi, con la cessione del credito, lo Stato non solo non raggiunge gli obiettivi voluti, ma perde soldi.
Dunque ha mantenuto la cedibilità dei crediti solo per il tempo necessario a far emergere il nero, e fornirsi di parametri di valutazione della congruità fiscale di ogni azienda del settore edile. Poi ha iniziato piano piano a rendere le cose più difficili, pur mantenendo l’agevolazione, in modo da continuare a monitorare le aziende, ed a sfrondare il mercato da quelle non solide, nella speranza di ricondurre il tutto al disegno primitivo, con le aziende edili solide, senza nero, con capacità di crescita. Ma anche qui la resilienza della PMI italiana ha fatto in modo che, invece di diminuire, il ricorso al 110% aumentasse.
Finché non si è deciso di intervenire vietando la cessione del credito, con il DL 16 febbraio 2023, n. 11, mettendo una pietra tombale sull’iniziativa, giudicata inutile e dispendiosa.
Cosa succederà al settore edile? È tutto da vedere.
Nel frattempo, molte aziende saranno già fallite. Le statistiche[iv] a settembre 2023, infatti, vedono un aumento del 33% delle liquidazioni volontarie di aziende edili, del 50% delle aziende di materiali edili, e un aumento dei fallimenti del 36% sempre fra le aziende di materiali edili.
[i] Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) 2023, Ministero dell’Economia e Finanze
[ii]https://www.efficienzaenergetica.enea.it/images/detrazioni/Avvisi/Report_dati_mensili_30_09_2023.pdf
[iii] Market size of residential building renovations in Italy in selected years from 2007 to 2018 – Statista.
[iv] Fallimenti e liquidazioni volontarie: persi 81.000 posti di lavoro nel 2023
Nel secondo trimestre del 2023, i fallimenti e le liquidazioni volontarie sono aumentati dopo 18 mesi di decrescita. Le piccole e medie imprese registrano le maggiori difficoltà. A guidare la crescita dei fallimenti ci sono le aziende del Nord Est e del Centro Italia – fonte: Cerved.L’articolo Storia di una politica sbagliata è già apparso su Il Corriere Nazionale.