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Del 24 Settembre 2023 alle ore 19:53foto Clement Attlee celebrates Labour’s landslide victory in 1945. (People’s History Museum)
di Federico Manghesi
Quello dell’impegno politico nell’arte è un dibattito sempre aperto. Quel che è certo è che fin dagli albori la produzione artistica è stata anche veicolo di messaggi politici, e che anche quella cinematografica non è stata esente da ciò. Parlando dell’impegno sociale e civile nel mondo del cinema, tra i primi nomi a saltare fuori non può non esserci Ken Loach. Il pluripremiato regista britannico, discendente dalla classe operaia, ha dedicato la maggior parte della sua filmografia al racconto delle condizioni di vita delle classi sociali più povere.
Il film di cui parliamo di seguito, è un esempio lampante del suo modo di fare cinema.
Io, Daniel Blake
A seguito di un infarto Daniel Blake è costretto a smettere momentaneamente di lavorare e richiedere un sussidio statale. Il medico che lo visita però, lo indica come idoneo al lavoro e quindi non adeguato a ricevere il sussidio. Deciso a fare ricorso, ma alle prese con l’assenza di reddito, Daniel fa la conoscenza di Katie, una donna disoccupata con due figli a carico. Tra i due nasce un’amicizia che li porta a scoprire l’uno la vita dell’altra.
Movimenti di macchina lenti, ambienti stretti e angusti, uniti ad una fotografia che predilige i colori freddi e scuri, ricreano l’atmosfera esasperante e dolorosa vissuta dai protagonisti. Il film mostra una società fredda e spietata, insensibile verso le problematiche delle classi meno abbienti, vittime di uno stato assente e di una burocrazia distante dalle reali necessità dei cittadini.
Oltre alla tematica sociale a farla da padrone sono le vite e le emozioni dei personaggi, che coinvolgono lo spettatore e permettono di vedere il dramma della povertà da un punto di vista più intimo e personale. Una povertà che soffoca i legami sociali e distrugge le vite delle persone con eccessiva noncuranza.
Scene come quella alla mensa dei poveri riescono ad essere struggenti, ma mai stucchevoli, e realistiche senza apparire distaccate o fredde. Il risultato sono quasi due ore che incollano allo schermo e lasciano lo spettatore, con un finale amaro, una serie di potenti riflessioni, e con la consapevolezza di aver visto uno dei film più belli degli ultimi anni.
Il problema sociale
Io, Daniel Blake è un film pieno di ingiustizie. Nonostante questo, non sono presenti dei veri antagonisti, nel senso in cui si intende normalmente. Se infatti dovessimo chiederci chi è causa delle ingiustizie che subiscono i protagonisti, non potremo indicare nessuno nello specifico.
La responsabilità grava infatti su un sistema ben più complesso, che spinge le persone a svolgere la propria funzione sociale senza fare ricorso alla propria umanità.
Ognuno adempie al suo ruolo, senza domandarsi se le proprie azioni possano considerarsi giuste. Questo lo vediamo nei lavoratori del centro per l’impiego ad esempio, indifferenti alle difficoltà dei singoli individui, ma ligi nel seguire le regole imposte loro dall’alto.
L’indifferenza, che durante la visione non può fare a meno di turbare chi guarda, è dovuta al fatto che ciascuno agisce solo come parte di un sistema e non come singolo essere umano, mettendo quindi da parte la propria compassione verso l’altro.
Un sistema del genere è spersonalizzante e porta a trattare l’altro come “un cliente, un consumatore, un utente, un numero o un puntino su uno schermo” e non come un uomo, non come “un cittadino”.
Federico Manghesi
foto www.skysports.comL’articolo Ken Loach: l’inferno della classe operaia è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.

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