Editoriale di Daniela Piesco Co-Direttore Radici
Chi fa ciclismo ha il diritto di svolgere la propria attività in sicurezza, ma ha anche il dovere di rispettare alcune regole.
La diffusione della bicicletta come mezzo di trasporto urbano veloce ed economico è spesso frenata dall’assenza di infrastrutture strategiche in grado di rendere competitivo il mezzo bici rispetto all’automobile.
La continua realizzazione di percorsi ciclopedonali in ambito urbano che non rispettano standard dimensionali ottimali non aiuta a far aumentare l’utilizzo della bicicletta, creando situazioni di conflitto spaziale tra gli utenti deboli della strada.
Le tragedie di cui sentiamo parlare continuamente riaprono un dibattito mai conclusosi su reciproci diritti e doveri di ciclisti, automobilisti e perché no, anche dei pedoni.
Se è vero che i ciclisti sono la «parte debole» della circolazione su strada, basta una disattenzione dell’automobilista per farli cadere a terra, è anche vero che molti ciclisti, sono del tutto ignari dei doveri che devono rispettare, tra l’altro previsti dal Codice della Strada.
Vale la pena ribadire che molto importanti sono le disposizioni riguardanti la circolazione dei velocipedi quando non si ha a disposizione una pista ciclabile. Il codice dice che “i ciclisti devono procedere su unica fila in tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo richiedano e, comunque, mai affiancati in numero superiore a due”; inoltre, “quando circolano fuori dai centri abitati devono sempre procedere su unica fila, salvo che uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell’altro”. Ai ciclisti è vietato trainare veicoli e farsi a loro volta trainare, salvo specifiche eccezioni; è vietato altresì trasportare altre persone sullo stesso mezzo, a meno che non si tratti di bambino fino a otto anni di età: in questo caso il trasporto può avvenire soltanto posteriormente e sempre in totale sicurezza. I ciclisti, poi, devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o pericolo per i pedoni; in tal caso sono assimilati ai pedoni in tutto e per tutto. I velocipedi devono comunque transitare sulle piste loro riservate quando esistono, salvo il divieto per particolari categorie di essi.
Ma il problema fondamentale è capire cosa sono i percorsi ciclopedonali e magari capire perché dovremmo smettere di realizzarli.
Il principale svantaggio legato alla realizzazione di un percorso ciclopedonale in ambito urbano è causato dal conflitto che si genera tra utenti fragili della strada, tra pedoni e ciclisti appunto. In queste situazioni, oltre a contendersi gli spazi, ciclisti e pedoni sono spesso al centro di fraintendimenti: il ciclista è convinto di avere tutto il diritto di scampanellare per ottenere la strada libera, mentre i pedoni pensano di potersi muovere affiancati occupando tutto il percorso a disposizione. Queste categorie di utenti della strada sono quindi costrette a litigarsi spazi per evitare di modificare la quantità di superficie destinata alle automobili, con il risultato di scatenare una guerra tra poveri.
Un altro aspetto negativo è dato dalla capacità di traffico ciclistico che questi percorsi possono sopportare. Le dimensioni ridotte e la condivisione degli spazi con il pedone rallentano e ostacolano il passaggio delle biciclette, senza creare quindi un’alternativa veloce ed efficiente al trasporto automobilistico, per questo è altamente sconsigliato realizzare piste ciclopedonali lungo le arterie principali della mobilità ciclistica, ovvero i percorsi casa-scuola e casa-lavoro.
In aggiunta, la pista ciclopedonale se realizzata in contesti con un elevato numero di intersezioni a raso e di passi carrai può rivelarsi più pericolosa dell’utilizzo della corsia destinata alle auto. Infatti, se non viene rispettata un’adeguata distanza in grado di garantire un’elevata visibilità tra automobilista e ciclista, questo sarà visto soltanto all’ultimo momento.