di Giulia Guidi
L’Eneide nasce dalla mano scaltra del sommo poeta Virgilio nel 19 A.C, data di pubblicazione. La figura di Didone, regina di Cartagine, appare già nel primo libro dei 12 del libro punta dalla freccia di Cupido, spinto da Venere a far innamorare la donna del grandioso Enea. È solo nel quarto libro però, che la regina viene fuori nella sua grandiosità. Didone perde il marito a causa della crudeltà del fratello di lei, Pigmalione. Fuggita da Tiro fonda da sola l’intera Cartagine. È vedova e irata contro il sangue del suo sangue, atterrita dalla consapevolezza di essere cresciuta e aver condiviso gioie con un mostro avido e vendicativo come suo fratello.
Immaginiamo quindi una donna sola che continua a vivere non più per sé stessa ma per il suo popolo e per sua sorella, Anna; che vive nella penombra di Didone. Anna infatti conta su di lei sia per vivere che per sostentarsi, incapace d’ inseguire la propria strada, conscia del fatto che la sorella ha bisogno di lei e del suo amore, l’unico ormai rimasto.
Didone è una donna che ama perdutamente il marito Sicheo, a lui si unisce e gli dona tutta sé stessa per poi vederselo uccidere dal fratello crudele e assettato di gloria e potere. Prova qualsiasi tipo di sofferenza: delusione collera e tristezza; ma non per questo cede, bensì riesce a fuggire portandosi dietro tutto il suo popolo. Nonostante la consapevolezza di essere una donna contro centinaia di nemici maschilisti e misogini rifiuta persino ogni matrimonio a lei favorevole. Si dimostra così coraggiosa nobile d’animo e valorosa. Didone è quindi sola, preoccupata per la sua gente e affranta dalla morte del suo grande amore. È in questo momento di totale buio che appare la figura di Enea, figlio di Venere, destinato a fondatore la città di Roma e a generare la stirpe gloriosa che porterà sino a Giulio Cesare.
Come potrebbe una donna così fragile, sola e ormai arresasi al fatto che non ci sia più amore per lei; non cedere al fascino di un eroe così glorioso, illuminato da una luce splendente? Ma proprio questo amore, dal quale inizialmente si voleva privare e nascondere, la travolgerà completamente. Didone si sente profondamente legata al primo amore, ma sia la voglia di amare ancora e la possibilità che l’uomo possa valerne la pena assieme alle spinte di Anna, la esortano a lasciarsi andare e cedere alla gioia. Questo amore però frutto dei destini di Giove non è destinato a durare, infatti Virgilio ha riservato alla donna una fine tragica e drammatica, d’altronde i due amanti hanno sorti già scritte e per questo i loro istinti ed emozioni umane sono destinate ad essere sopraffatte. Didone infatti dopo numerosi indugi, finalmente si fidanza con Enea; anche se è un matrimonio irreale per lui poiché celebrato all’oscuro di tutti. Ma questo trascinerà lei nella follia totale, poiché lui l’abbandonerà spinto dai voleri di Giove. Enea non avrebbe potuto cedere ad un sentimento umano come l’amore, che avrebbe causato vulnerabilità. Egli essendo per metà divino è destinato a compiere azioni gloriose, e di conseguenza è per lui impossibile concedersi ad una vita “normale”, come quella che sarebbe stata consolidata se si fosse sposato.
La regina passa da un turbine di emozioni: dall’incertezza, alla fiducia e di conseguenza all’amore; ma giunta alla consapevolezza dell’abbandono di lui e alla sua destinata solitudine si lascia andare alla commozione e alla voglia di vendicarsi. La figura di Didone emerge per questa enorme sensibilità, per questa incessante lotta fra ragione e sentimento.
Analizzando questa figura ci si rende conto della sua attualità, di come spesso si sia immersi in una continua sfida con noi stessi, con la continua lotta fra cosa sia giusto e cosa meno. Quante volte ci si è trovati di fronte alla domanda su quanto possa valere la pena lasciarsi andare, o quanto sia possibile abbandonare tutte le nostre certezze per lasciarsi al sentimento. La paura di mostrare le nostre fragilità pur consapevoli che non avremo la risposta desiderata, questo richiede voler vivere l’amore, e questo è ciò che fa Didone. La regina sceglie di essere felice, sceglie di accogliere l’amore e la passione ma questo sarà proprio la sua rovina, poiché travolta dall’atroce dolore della partenza di Enea, non vedendo alcuna soluzione possibile, decide di suicidarsi. Fino all’ultimo però spera che lui cambi idea, che resti, che scelga lei, ma allo stesso tempo lo odia lo vorrebbe morto e invoca tutti gli dei contro di lui.
Chi è che non si è mai sentito così?
Col desiderio profondo di vivere qualcosa di vero, ma che poi questo sentimento gli si è rivolto contro?
Didone è un po’ tutti noi, vive d’amore, si nutre di esso, ma è assorbita anche dall’altra faccia della medaglia, ovvero l’indifferenza di lui; e questo la farà impazzire al punto di uccidersi. La fragilità e la passione che trasmette ci fanno sentire meno soli.
Virgilio ci invita a confrontarci con noi stessi, a capire quanto sia difficile conciliare amore e ragione e quanto questa lotta con noi stessi possa sopraffarci.
Non ci sentiamo così tanto distanti da questa figura, spesso fragili, speranzosi, con il bisogno di amare ma a volte non ricambiati, e a quel punto affliggersi nella totale disperazione e odio verso l’amore stesso.
Dunque si arriva alla consapevolezza che tutti proviamo le stesse emozioni a prescindere dal tempo dallo spazio, e Virgilio ci dimostra che di fronte all’amore possiamo tutti perderci.
foto Giovanni Luteri detto “Dosso Dossi” (Pittore) in: Galleria Doria Pamphilj con il dipinto olio su tela, 75×95,5 “Didone” del 1519 ca..