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Del 22 Agosto 2023 alle ore 09:52Dalla controversia sui libri alle teorie sull’uranio, il ‘caso Vannacci’ scuote l’Italia. Ma è davvero un nuovo Dreyfus, o solo l’ennesima sceneggiata politica nazionale?
Nell’epoca dei tweet infuocati e delle polemiche che esplodono più veloci dei meme viralizzati, sembrava impossibile che avesse luogo una versione nostrana del celebre “Caso Dreyfus”. Tuttavia, come spesso accade, la realtà sorprende persino le previsioni più incredibili. Il caso Vannacci, con tutte le sue sfaccettature che oscillano tra controversie, trame e pronunciamenti politici, sembra aver fatto un irresistibile tuffo nell’abisso del dramma italiano. Ma prima di nominarlo l’erede italiano di Dreyfus, prendiamo un attimo a riflettere sull’incredibile sovrapposizione delle due storie, oltre che le evidenti differenze.
Parigi, 1894: l’ufficiale ebreo Alfred Dreyfus viene arrestato sotto l’accusa di aver passato informazioni riservate a un ufficiale prussiano. Un caso di spionaggio, tradimento e antisemitismo che ha scosso le fondamenta della società francese dell’epoca, spaccandola tra “dreyfusards” e “antidreyfusards”. Una battaglia non solo legale ma ideologica, dove il ruolo degli intellettuali divenne cruciale nel denunciare l’ingiustizia. Emblematica fu l’opera “J’accuse” di Émile Zola, che difese Dreyfus e denunciò la corruzione e l’ingiustizia del sistema.
Ora, torniamo all’Italia del 2023: il generale Vannacci si trova sotto i riflettori per il suo libro “Il mondo al contrario”, che, a detta di molti, contiene tesi omofobe e sessiste. Ma la controversia non si ferma qui. C’è una lotta tra i sostenitori di Vannacci, che lo vedono come un patriota coraggioso che osa esprimere opinioni controcorrente, e coloro che lo considerano colpevole di aver attraversato il confine tra libera espressione e odio, per di più in veste di militare d’alto rango in servizio attivo. Proprio come nel caso Dreyfus, anche qui assistiamo a una lotta tra opposte fazioni, che da toni di giudizio pacato possono animarsi fino al livello di motteggiamenti da ultras, che spingono i loro argomenti attraverso giornali, social media e persino interviste televisive, per poi disperdersi nella miriade di rivoli della chiacchera da strada.
Ma c’è di più. Come il generale Vannacci, Dreyfus era un militare, e in entrambi i casi la controversia si è intrecciata con l’ambito delle Forze Armate. Vannacci ha fatto missioni in terre lontane e ha alzato la voce contro l’uranio impoverito, mentre Dreyfus fu inizialmente considerato un traditore che metteva a rischio la sicurezza del paese.
 

 
E poi c’è la teoria della cospirazione. Proprio come Mathieu Dreyfus raccolse prove per smascherare il vero colpevole del tradimento attribuito a suo fratello, anche nel caso Vannacci si sussurra dietro le quinte che le vere ragioni della sua rimozione dall’Istituto Geografico Militare potrebbero essere diverse dalle tesi sostenute nel volume. Una trama di intrighi, potere e interessi nascosti, pronta a scuotere le fondamenta della verità ufficiale.
Ma è davvero giusto mettere sullo stesso piano il “caso Vannacci” e il “Caso Dreyfus”?
Vi sono evidenti differenze: Dreyfus non denunciò pubblicamente alcunché ma subì soltanto pesanti accuse di spionaggio, mentre Vannacci ha voluto affrontare, tutti insieme, in un saggio fenomeni sociali complessi per i quali, in Italia, i veri esperti si contano forse sulla punta delle dita di una sola mano, tanto da ipotizzare di poterli invitare tutti a casa per cena. Tuttavia, i diritto di parola è costituzionalmente garantito alla gamma completa degli opinionisti, i quali pencolano tra il preteso garantismo ed il più sfrenato forcaiolismo, a seconda dell’oggetto del contendere, meglio del soggetto del contendere. Poi vi sono coloro che sono solo abili opportunisti e rischiano di far del male all’idea, anche solo appropriandosene strumentalmente in senso politico. E abbiamo notato il loro immediato palesarsi sia a destra che a sinistra.
Senza fare un vero e proprio approfondito processo alle intenzioni, qualche dubbio resta. Ma qual è l’obiettivo dietro questa esplosione di attività mediatiche scaturite dall’auto-pubblicazione di un libro? Anche l’autocelebrazione e la voglia di emergere potrebbero giocare un ruolo significativo. L’idea di essere nel centro delle discussioni, di essere una figura di rilievo, è un incentivo potente. Potremmo chiamarlo narcisismo moderno: la voglia di essere ammirati, discussi e, magari, persino diventare una sorta di “influencer” del mondo politico.
E parlando ancora di politica, ecco che Vannacci lascia forse cadere l’ancora nella baia dell’ambizione. Le proposte di candidatura elettorale normalmente indicano ogni passo verso il palcoscenico politico. Già un primo invito a candidarsi, declinato con un “continuerò a fare il soldato”, non sembra garantire un sincero disinteresse per l’arena politica e potrebbe rivelare la volontà di rimandare la scelta a proposte più alettanti. In ogni caso, una discesa in campo del generale costituirebbe davvero un servizio alla nazione o al contrario un passo verso la costruzione di una carriera politica come tante?
Le domande in prospettiva si accumulano. La linea tra la difesa delle proprie idee e la costruzione di un marchio personale sembra essere diventata sempre più sottile. Ma c’è anche una domanda più profonda: fino a che punto dovrebbe arrivare la celebrità personale in politica? Dovrebbe essere la competenza e l’integrità a guidare le scelte politiche, o possiamo permetterci di essere affascinati dalle figure carismatiche che dominano i titoli dei giornali?
Ma, soprattutto, tra i due casi che stiamo contemplando c’è la differenza abissale tra i temi dell’anti-semitismo e dell’omofobia, solo per citarne uno tra quelli esposti da Vannacci, in relazione peraltro a contesti storici e sociali distanti nel tempo di un secolo almeno. Eppure, se vogliamo cogliere un insegnamento dal passato, dovremmo concentrarci sulla lezione che ci offre Dreyfus: l’importanza di esaminare a fondo le prove e di non dare per scontato nulla, soprattutto quando la voce dell’opinione pubblica si fa assordante.
In un’epoca in cui le discussioni accalorate possono prendere il sopravvento su ogni altra considerazione, è essenziale sottolineare che ogni caso è unico e merita una valutazione equa e ponderata. Quindi, mentre il “caso Vannacci” continua a tenere banco, ricordiamoci dell’importanza di andare oltre le battute superficiali e di scavare più in profondità, proprio come fece Mathieu Dreyfus alla ricerca della verità. Non è forse questo l’unico modo per evitare che la storia si ripeta?L’articolo Vannacci: un caso Dreyfus all’italiana? è già apparso su Il Corriere Nazionale.

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