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Del 21 Agosto 2023 alle ore 17:24di Fabio Alfonsetti
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha presentato recentemente a Regioni e Province autonome un decreto, denominato “aree idonee”, che si prefigge lo scopo di assegnare ad ognuno degli organismi territoriali-amministrativi dello Stato una quota di Megawatt, da assicurare al fabbisogno energetico nazionale, proveniente dalle cosiddette “energie rinnovabili”. Tale quota è stata prevista proporzionalmente rispetto all’ estensione della Regione ed alle peculiarità meteorologiche del suo territorio, ecco perché la parte da padrona, nel prospetto generale, la fanno regioni quali Puglia, Sardegna e Sicilia.
A questo scopo, il decreto prevede una procedura autorizzativa estremamente semplificata per chi voglia destinare una proprietà o un suolo alla produzione di energia per mezzo di pannelli solari e pale eoliche. Tale decisione è verosimilmente figlia di quella “rivoluzione verde” (cerchiamo sempre, per quanto possibile, di fare a meno dei corrispettivi anglicismi, per di più quando sono del tutto pleonastici) che la tesa situazione internazionale e l’ecologismo ideologico tanto di moda impongono, o cercano di imporre, sull’agenda politica di Stati sempre meno sovrani.
A parte questa considerazione, chi scrive non ha nulla contro le energie rinnovabili, ma con una serie di precisazioni che l’osservazione diretta di un fenomeno aberrante, consumatosi nel territorio in cui viviamo nel recente passato, ha reso qualcosa di molto più concreto ed impellente del proverbiale “paletto” da inserire per evitare abusi. Il decreto prevede sulla carta, questo è vero, vincoli nel rapporto fra superficie da destinare all’installazione di pannelli ed estensione complessiva della proprietà nel caso in cui i pannelli fotovoltaici siano sistemati su di un suolo agricolo e non su aree industriali o su fabbricati. Ma noi, abitanti del nord Salento, abbiamo su questo qualcosa che definire “pelle scottata” è un eufemismo. Noi abbiamo visto, fra il 2008 ed il 2011, le nostre campagne trasformarsi in distese di specchi di silicio, in virtù di incentivi che l’allora governatore Niki Vendola, in nome di un ambientalismo che forse soffriva di qualche disturbo della personalità, elargì per fare della Puglia una terra votata alla produzione di energia pulita.
Tali incentivi stimolarono l’avidità di società operanti nel settore delle energie rinnovabili, la gran parte delle quali multinazionali o del nord Italia, che acquistarono con due soldi campi una volta destinati alla coltivazione delle nostre colture tradizionali, e che l’invasione di prodotti agricoli dal Mediterraneo stava purtroppo rendendo sempre meno competitivi sul mercato, spingendo spesso i nostri agricoltori a valutare e poi ad accettare la cessione dei propri campi.
Tale politica, che nulla aveva a che fare con l’ambientalismo né con il rispetto del paesaggio o della cultura locale, e molto invece con la più abietta speculazione, venne peraltro praticata, nei primi anni, senza alcun vincolo paesaggistico: non sull’estensione complessiva di questi campi di specchi, non relativamente al fatto che tali impianti sorgessero direttamente affacciati sulle strade, a devastare ancora di più lo sguardo. Al massimo, un po’ di ornamentali oleandri perimetrali, a cercare di nascondere queste brutture, per nulla assortite. I signori in questione, ed in questo caso la responsabilità le ebbero pure gli amministratori a livello provinciale, non si preoccuparono neppure di garantire il rifacimento delle strade, che certo già non godevano di buona salute, ma che furono letteralmente squartate per i lavori di allaccio della corrente alla rete. Così esse restarono per anni, ed alcune ancora lo sono, segnate da “cicatrici” e gravi sconnessioni dell’asfalto. Tale comportamento testimonia di quali punte di senso civico (sic!) essa siano state dotate.
Quindi noi abbiamo una bruttissima esperienza diretta nel recente passato e abbiamo ben donde dall’avere lo stomaco sottosopra quando sentiamo parlare, sui mezzi d’informazione o nei dibattiti pubblici, di assoluta necessità di aumentare la quota di energia rinnovabile prodotta. Vorremmo che, ogni santa volta lo si faccia, si aggiunga una postilla: mai su superfici che non siano già cementificate. Perché ne abbiamo abbastanza. E perché abbiamo peraltro ragioni fondate di ritenere che non di sola energia da fonti rinnovabili possano campare un Paese ed i suoi abitanti.
Il quadro complessivo della situazione di un territorio oltraggiato dalla speculazione così delineata, non sarebbe per nulla esaustivo se non considerassimo tuttavia la tragedia rappresentata dalla diffusione del batterio “Xylella Fastidiosa” che, a partire dal 2013, quando comparve nella zona di Gallipoli, ha devastato un patrimonio stimato finora in 20 milioni di alberi di ulivo sui 60 di cui dispone l’intera Puglia. Negli anni successivi la fitopatia ha raggiunto l’intero territorio salentino (per poi aggredire anche Valle d’Itria ed apparire anche nella parte meridionale della Murgia barese) compresa quella zona della provincia di Brindisi, fra il capoluogo ed i comuni limitrofi, che maggiormente erano stati interessati dal fovoltaico selvaggio.
Lo scenario, al quale gli abitanti delle province meridionali della Puglia si sono progressivamente abituati, e che si presenta ai tanti visitatori, è quindi quello di una zona semi-desertificata. Il danno prodotto dalla Xylella va ben oltre quello inferto agli olivicoltori, investendo la storia millenaria del nostro territorio, perché plurisecolare era la vita di tantissimi alberi fatti morire dalla batteriosi.
Sulla diffusione accidentale della stessa, sembra per il tramite di una pianta di caffé infetta proveniente dal centro America attorno al 2008, sui fortissimi contrasti sorti attorno al piano del commissario straordinario nominato dal governo Renzi nel 2015, Giuseppe Siletti, che prevedeva un piano di eradicazione forzata di molte piante per impedire la diffusione della Xylella fuori dal Salento, sui ritardi dei fondi destinati a favorire la sostituzione degli alberi secchi o con varietà di ulivo resistenti al batterio, come la “Favolosa” ed il “Leccino”, o con piantaggioni di altri alberi da frutta, tanto si è discusso e si continua a discutere. Per diversi anni interi campi di ulivo secchi sono rimasti dov’erano, anche perché il mercato locale non avrebbe potuto assorbire neppure l’immensa mole di legna da ardere da essi derivante, e solo negli ultimi due anni si sono scorti, via via più numerosi, gli espianti, con un contestuale, seppur parziale, lavoro di reimpianto.
Grandi coltivazioni di ulivi secchi, su terreni peraltro abbandonati e colmi di sterpaglie, favoriscono infine, nel periodo estivo, il fenomeno degli incendi, colposi o dolosi che siano, la cui propagazione si giova anche delle particolari condizioni climatiche, in particolare del forte vento, che caratterizza il Salento in tante giornate. 
Quel che si dice “la tempesta perfetta” è quindi così delineata: un singolare allineamento di catastrofi naturali (sebbene ci sia chi ipotizza che il batterio killer degli ulivi sia stato volutamente importato) di trascuratezze e pressappochismi (la Xylella si giova molto nel suo cammino nel trovare terreni non arati) di incrocio fra interessi economici-speculativi e di crisi effettiva del settore produttivo agricolo, per quanto riguarda la questione del fotovoltaico selvaggio, ha arrecato una ferita gravissima al tradizionale, caratteristico ed anche monumentale patrimonio naturale del Salento tutto. Il riposo di intere generazioni di contadini che con enorme impegno, dedizione e sacrifici tale patrimonio ci avevano tramandato, abbiamo paura sia stato gravemente guastato.L’articolo Nella morsa fra ambientalismo strabico e batterio-killer degli ulivi, Salento offeso e deturpato è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.

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