Del 6 Agosto 2023 alle ore 10:48da La Rivoluzione Democratica
La condanna di Putin e gli aiuti all’Ucraina sono fuori discussione. E, tuttavia…
di Paolo Bagnoli *)
LA FINE DELLA GUERRA FREDDA aveva aperto alla speranza che il concetto stesso di guerra non tanto si fosse allontanato da noi perché ciò è impossibile, ma che il dato della pace fosse prevalente; che, caduto il comunismo, si fosse aperta una nuova stagione nella quale il rischio di conflitti, freddi o caldi che fossero, venisse relegato nel remoto di un passato oramai saldamente alle spalle. I fatti, con l’aggressione russa all’Ucraina, hanno smentito tutto e l’Europa, che segna i confini della Russia, si trova a fare i conti con una situazione nella quale il doveroso appoggio alla resistenza dell’Ucraina rischia di tramutarsi in un coinvolgimento bellico contro la Russia.
Perché, ci domandiamo, l’Occidente, che dalla guerra fredda è uscito vincitore, non si è applicato a costruire la pace?
Nessuno certo avrebbe potuto immaginare che la situazione sarebbe arrivata a questo punto. Ma è possibile che, dati i tanti centri strategici esistenti, nessuno abbia mai posto attenzione alla persistenza in Russia di un sentimento da Paese imperiale? Nessuno mai ha sospettato che quel sentimento in Russia avrebbe potuto, in qualche modo, ripresentarsi, come ai tempi dello zarismo prima e del comunismo poi?
In ciò, a nostro avviso, risiedono le ragioni storico-culturali del putinismo: del non arrendersi a essere una potenza depotenziata. È un qualcosa che va ben al di là dei regimi e dei loro destini essendo, questo, un dato culturale genetico della Russia la quale, per esprimersi, deve naturalmente contrapporsi all’Europa e ai valori occidentali che essa rappresenta.
LA FINE DEL COMUNISMO non aveva segnato la “fine della storia”, ma aperto una nuova storia che tornava sui suoi passi incontrando la vecchia storia. Ritenere che la storia fosse finita è’ stato un errore politico-culturale dagli effetti devastanti; la Russia non ha mancato di esprimere il proprio spirito nazionale unitamente alla concezione orientale del potere che da sempre la caratterizza.
La fine del comunismo non ha generato l’avvento della democrazia. Anzi, ha rafforzato Mosca nell’alzare la testa a fronte di un’Europa “alleato subalterno”, sostanzialmente impotente, degli Stati Uniti.
L’Occidente, e quindi l’Europa in primis, doveva applicarsi a elaborare in termini concettuali l’idea stessa della pace, che non significa mancanza di guerra. La pace è un’idea che appartiene alla politica e, quindi, richiede una politica che si ispiri all’incivilimento dei popoli, all’aiuto e alla solidarietà internazionale, alla salvaguardia dei diritti; insomma, alla costruzione di tutto quanto implica un nuovo umanesimo di cui tutti possano usufruire e al quale tutti sono chiamati a concorrere. La pace è una cultura fondata su una concezione dell’uomo non sul non uso delle armi.
Dalla guerra fredda l’Occidente è uscito restando in piedi mentre la Russia era in ginocchio. Così la pace, quale concetto politico, doveva implicare che il vincitore offriva la propria mano al vinto per rialzarsi e per concordare insieme le forme di una convivenza cooperante.
Questo aiuto, se ci ricordiamo bene, era quanto Gorbaciov aveva in fondo chiesto quando tutto il suo mondo stava per crollare; qualche cosa arrivò, ma era insignificante. Gli Stati Uniti preferirono fidarsi di Eltsin – espressione tipica e rozza della concezione orientale del potere – senza disegno strategico alcuno… Ma Eltsin altro non era se non il pre-putinismo. Il resto è sotto gli occhi di tutti.
Fu uno sbaglio di grosse dimensioni. Proviamo, invece, a immaginare come avrebbero potuto evolversi le cose se l’Europa e gli USA avessero avuto coraggio e si fosse preso atto che, caduta l’URSS, l’alleanza militare atlantica come era stata concepita non aveva più senso e che, oramai, la questione, sicuramente fondamentale, della sicurezza andava reimpostata tenendo conto e pure coinvolgendo quanto era venuto dopo il regime comunista in Russia.
Il coraggio non c’è stato. La guerra è venuta per colpa della Russia. E uno strumento, che sembrava arcaico, come la Nato ha ripreso vigore risucchiando la politica in una spirale bellicista. Non solo: ma facendosi scudo dell’aggressività di Putin, il problema dell’Europa sembra essere diventato quello della sua massima militarizzazione strategica.
Si dirà che è solo realismo, ma il termine è equivoco e giustificatorio; anche Kissinger definiva realismo bombardare la Cambogia e il Laos nonché fare fuori Salvator Allende e la democrazia cilena.
La condanna di Putin e gli aiuti all’Ucraina sono fuori discussione. E, tuttavia, non ci convince l’affermazione secondo cui essa combatterebbe anche per la nostra libertà. La verità è che qui si combatte tutti con l’Ucraina perché l’amministrazione americana vuole dimostrare di essere una superpotenza e, a questo punto, la sconfitta di Putin diviene il fattore di controprova della propria forza.
VOLESSE IL CIELO CHE PUTIN CADESSE. E quanto sta succedendo con la Wagner ci dice della sua debolezza. Ma, Putin o non Putin, il problema della Russia e dei rapporti dell’Occidente con essa si riproporrebbe comunque nei termini cui dicevamo sopra.
Dopodiché, alla pace, intesa come termine delle ostilità, si arriverà. Ma forse sarà ancora con Putin che bisognerà fare i conti. O forse il conflitto si fermerà, entro l’anno, anche perché Biden non ha interesse alcuno a fare una campagna elettorale per la rielezione con la guerra in atto.
Leviamoci di mente, tuttavia, che tutto ritornerà come prima e che l’Ucraina riavrà il territorio perso. Sarà più facile per Kiev riottenere la Crimea che non il Donbass, ove esiste una popolazione che russa è e russa vuole essere.
Che cosa vediamo al di là dei discorsi – inevitabili peraltro – su una corsia speciale per l’entrata dell’Ucraina nell’Europa e nella Nato? Vediamo, forse, la pace? Se davvero si volesse lavorare alla pace (beninteso: secondo il concetto politico cui accennavamo prima), la qualità del discorso cambierebbe, ma che tutto ciò avvenga di corsa non ci sembra realistico.
La situazione è difficile, e i popoli del nostro continente che andranno alle urne l’anno prossimo per il rinnovo del Parlamento europeo si trovano questa volta di fronte a un appuntamento elettorale non secondario rispetto a quello per il proprio Paese.
Al momento, però, non vediamo né forze culturali né forze politiche andare oltre le solite formule. In un clima dettato più dalla pancia che dal cervello, la situazione rischia di avvitarsi ancora di più. E, ancora di più, l’Europa diverrebbe meno autonoma nell’alleanza con gli Stati Uniti.
*) PAOLO BAGNOLI è nato a Colle Val d’Elsa nel 1947. Già senatore della Repubblica, ordinario di Storia delle dottrine politiche, ha insegnato dal 1987 al 1997 presso l’Università Bocconi di Milano; dal 1998 insegna presso la seconda Facoltà di Lettere dell’Università di Siena con sede in Arezzo. Collabora a numerose riviste di tipo scientifico e culturali tra le quali “Il Ponte” e “Nuova Antologia”. Nel 2012 ha fondato e dirige la rivista La Rivoluzione Democratica (Biblion Edizioni, Milano).
L’articolo Proviamo a ragionare sulla guerra e la pace è già apparso su Corriere di Puglia e Lucania.