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Editoriale di Daniela Piesco Co-Direttore Radici 
Nel Salento, da Brindisi a Santa Maria di Leuca passando per Gallipoli, sono andate distrutte intere coltivazioni di ulivi a causa della presenza di un batterio originario della California, di cui in Europa non si era mai riscontrata alcuna traccia. Dell’attacco della Xylella fastidiosa (Xf) nei confronti della pianta di olivo salentino se n’è parlato e se ne sta parlando ancora molto. Fra realtà e finzione e tra documenti e fake news, la vicenda sembra tanto più complicarsi quanto più monta il polverone di quelle voci – troppe – che rischiano di generare caos e confondere le idee.
La situazione creatasi in California sembrerebbe completamente diversa da quella osservata in Puglia, dove il batterio, all’indomani del rinvenimento del suo DNA in piante di olivo, è stato subito elevato (in via presuntiva) ad agente eziologico dei disseccamenti.
Non è mia intenzione ripercorrere le diverse tappe dell’intricata vicenda che ha visto, da qualche decennio, vari alberi di ulivo nel Salento essere colpiti da un patogeno che ne ha causato e ne causa la morte. La malattia sviluppata dalle piante è stata denominata «Complesso del Disseccamento rapido dell’olivo» (Co.Di.r.o.) e la sua origine sembrerebbe essere dovuta, secondo alcuni, al batterio della Xylella fastidiosa (Xf).
La faccenda, inoltre, è stata oggetto di intervento da parte della magistratura, che ha messo sotto inchiesta alcuni ricercatori per diverse ipotesi di reato e che, ovviamente, ha richiesto a più riprese scelte da parte dei decisori politici, sia a livello regionale pugliese, sia a livello nazionale che anche a livello europeo, sollevando polemiche di vario tipo.
Vorrei, invece, riportare le opinioni di alcune persone del luogo che contestano alcuni aspetti delle evidenze scientifiche date per solide e acquisite ma che, al contrario, hanno creato molti dubbi.
Xylella fastidiosa (Xf): legittimi interrogativi o leggende?
La situazione, apparentemente, potrebbe sembrare molto chiara: gli ulivi malati sono infettati dal batterio Xf, trasmesso tramite un insetto vettore (chiamato, in gergo, «sputacchina») che porterebbe l’agente patogeno – e con esso la malattia – da un ulivo all’altro. Per fermare l’epidemia, non essendo possibile vaccinare gli ulivi, è stato necessario tagliare sia quelli infetti sia quelli prossimi agli infetti. Tutto chiaro?
Non tanto. Nonostante le varie pubblicazioni agronome e i rapporti commissionati dalla Regione Puglia, dal ministero delle Politiche agricole, dalla Commissione europea e finanche dall’Accademia dei Lincei (rapporti che sembrano mettere in chiaro in maniera definitiva la parte scientifica di questa vicenda), a parere della popolazione locale permangono forti dubbi e troppi interrogativi, a cui è difficile trovare una risposta soddisfacente. Pare che la spiegazione della “Xylella fastidiosa”, a dire il vero, sia stata più una conclusione accettata forzatamente, come non più discutibile, che altro.
Vi sono però altri dati ed evidenze di un certo interesse, come ad esempio la modalità di diffusione del batterio, che sembra avvenire in maniera puntiforme (colpendo solo alcuni alberi ma non tutti quelli nelle vicinanze in maniera uniforme, come invece ci si potrebbe aspettare nel caso della propagazione di un’epidemia), o anche il rifiorire di alcuni ulivi malati trattati opportunamente.
In particolare, sulla pericolosità del batterio Xf e circa la tesi che questo sia la causa della malattia degli ulivi, se le conseguenze della sua pericolosità per gli ulivi sono straordinarie ci si aspetterebbe che le prove scientifiche dimostranti la nocività della Xf fossero altrettanto straordinarie.
“E se fosse tutto un business?”
Ovviamente, sin dall’inizio, gli agricoltori non hanno creduto alla biologicità di questo batterio. Ma perché?
Ancora oggi, nonostante siano passati più di dieci anni, molti contadini – specialmente quelli più anziani – dicono che si tratta di un qualcosa che è “arrivato dal cielo” e che per loro “non può essere un batterio a distruggere migliaia di piante simili”. Una pianta, quella dell’ulivo centenario, che ha passato e superato qualsiasi tipo di avversità e che non può soccombere, indifesa ed indifendibile, in quel modo.
Durante il mio soggiorno nel Salento mi è capitato più volte di trovarmi in mezzo a discussioni di questo tipo. Nel Salento, se ancora non lo si è capito, tutto questo marrone scuro mischiato al grigio in mezzo alle campagne non smette mai di accendere gli animi.
«Chi ve lo dice che non ce l’hanno mandato apposta? Per favorire le olive degli altri Paesi dell’Unione Europea?» è una delle teorie più accreditate. Ogni volta che qualcuno la pronuncia trova appoggio in diversi cenni di assenso dei partecipanti.
Diffuso tra i contadini vi è anche un pensiero più “internazionale” secondo cui il batterio sarebbe stato creato in laboratorio da una multinazionale brasiliana in accordo con la Monsanto (multinazionale statunitense di biotecnologie agrarie), con l’obiettivo di sostituire gli ulivi salentini con quelli Ogm.
In assenza di soluzioni concrete e, soprattutto, di una cura, il sospetto che in realtà la Xylella sia frutto di un piano studiato a tavolino continua quindi non solo ad esistere, ma a crescere.
L’ulivo pugliese, una pianta immortale
Come dargli torto? Per anni i pugliesi hanno visto nell’olivo un simbolo da emulare, un esempio di resistenza e tenacia che vince sul tempo ma che nulla ha potuto contro la Xylella.
Nei secoli la sacralità dell’olivo non è cambiata: l’oro verde, come viene definito il suo frutto, ha dato da vivere a decine di generazioni.
In Italia è la regione Puglia ad avere sul suo territorio il maggior numero di piante coltivate (prima dell’arrivo del batterio erano circa 60 milioni) e quantità di olio di oliva prodotto.
Resta però il fatto che l’olivo, ormai già da qualche anno (probabilmente almeno 5, se non di più), pare stia funzionando – probabilmente insieme ad altre specie di piante – quanto meno come serbatoio del batterio. Fonte da cui l’insetto vettore (o gli insetti vettori, ma al momento se ne conosce con certezza solo uno, la sputacchina Philaenus spumarius) starebbe continuando ad attingere.
Ne conseguerebbe che se si vuole debellare la malattia, con possibilità diverse di successo, occorrerebbe eliminare il serbatoio (o tutti i serbatoi) e/o il vettore (o tutti i possibili vettori). Oppure solo il/i serbatoio/i, oppure solo il/i vettore/i. Fattibile? Logico?
Sono fermamente convinta che il problema della disinformazione riguardante l’epidemia di Xylella in Puglia è senz’altro stata una cosa seria e che non andava (o va) sottovalutata. A nulla sono serviti i migliaia di articoli scritti da persone non competenti in materia e che hanno rischiato solo di vanificare buona parte degli sforzi messi in campo dagli studiosi e dagli addetti ai lavori, nel tentativo di portata avanti una comunicazione difficile in un contesto sociale e politico già di per se molto complesso.
Oggi, però, la scelta è sia tecnica che politica
Tenendo ben presente che la Xylella fastidiosa è un patogeno da quarantena, che andrebbe trattato sulla base di precise disposizioni internazionali, chi produce (o semplicemente consuma) olio, dopo il decennio di guerra burocratica e mediatica, può ciecamente fidarsi delle decisioni istituzionali di settore italiane, europee o mondiali, visto il virus dell’avido affarismo economico che ha infettato alcune figure decisionali in periodo “pandemico” ma che non ne ha causato né la loro estinzione né il disseccamento stile Co.Di.r.o.?
E se la soluzione per salvare le piante d’olivo – e/o il pianeta in generale, anche da eventuali futuri e futuristici danni climatici – fosse quella di eradicare prima un’intera classe politica incompetente e corrotta?
In fondo l’ulivo rinasce, è immortale. Perché, esso, la linfa ce l’ha…
pH Fernando Oliva 
 
[https://www.youtube.com/watch?v=Sa8X-T8C23A]

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