Del 15 Luglio 2023 alle ore 11:21A cura di Mariangela Cutrone
Le parole sono potenti, sono veicolo di storie, insegnamenti e messaggi che vale la pena esprimere per lasciare un segno indelebile nel proprio cammino. Attraverso esse evochiamo situazioni, eventi e sensazioni nelle quali è possibile immedesimarsi e poter rintracciare parti del proprio sé che in alcune circostanze rischiano di perdersi.
Attraverso il racconto è possibile prendersi cura della propria anima. È ciò che accade alle protagoniste de “La cura delle parole” di Maurizia Girlando, scrittrice torinese, avvocato di diritto civile e del lavoro, docente di diritto, edito da Santelli. Un meraviglioso romanzo che invita il lettore a credere fermamente nel potere prezioso del racconto. Un libro che trasuda Pura Vita ambientato tra Torino e Val Chisone al termine del primo conflitto mondiale.
“La cura delle parole” ci immerge nelle storie dense di emozioni di tre donne appartenenti a tre generazioni diverse ma che, aiutandosi a vicenda durante un periodo storico molto difficile, scoprono di avere tanto in comune. Si renderanno conto di poter superare qualsiasi difficoltà con tenacia, perseveranza e contando l’una sul sostegno e affetto dell’altra.
Un romanzo che ci fa riscoprire il valore della sorellanza che si ciba di rispetto, reciprocità, dialogo e condivisione di esperienze significative. La scrittura di Maurizia Girlando, ricca di dettagli storici e geografici, è sublime e conduce il lettore ad esplorare il vissuto delle tre protagoniste, l’empatica maestra OIga, la debole e bisognosa di cure Gisella e la giovane e volenterosa Ortensia. È inevitabile affezionarsi a queste tre donne. Un libro che lascia il segno nella memoria del lettore e che scalda il cuore infondendo ottimismo e fiducia nell’Altro.
Di com’è nata l’idea di questo romanzo e di sorellanza conversiamo piacevolmente con Maurizia Girlando in questa intervista.
Maurizia, partiamo dall’origine, come è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
Sono cresciuta a Pinerolo, sotto le Alpi, dove ho frequentato le Elementari e le Medie. Con mia mamma, appena finita la scuola, ci trasferivamo, per le vacanze, a Fenestrelle, paesino alpino a 1200 mt., circondato da abetaie secolari, là c’è una fortezza molto imponente che, allora era abbandonata, adesso è addirittura il simbolo del Piemonte. Di ‘villeggianti’, allora, c’eravamo noi e poche altre famiglie, stiamo parlando della fine anni Cinquanta, inizio Sessanta. Quelli per me erano mesi bellissimi di totale libertà insieme a mio fratello più piccolo e osservavo la vita dei pastori e contadini e degli abitanti del paese.
La prima parte del romanzo è ambientata a Fenestrelle, la seconda a Torino. Le vicende sono narrate nel 1919 e riguardano i quaranta anni precedenti, perciò, i luoghi sono quelli di quell’epoca. Di Fenestrelle ho sempre conservato uno struggente ricordo e un desiderio fortissimo di ritorno che credo si senta molto bene nella prima parte che racconta la nascita e primi anni di una delle protagoniste, Gisella che nasce in una famiglia di pastori-contadini proprio a Fenestrelle.
In questa prima parte è descritta la Fenestrelle di un secolo fa e siamo insieme ai pastori di quell’epoca, alle tipiche dinamiche famigliari di allora e alla vita di montagna. Gli anni fra l’Unità d’Italia e la Grande Guerra ed il primo dopo guerra sono per me di interesse storico da sempre. Perciò la nostalgia per Fenestrelle e i miei interessi per la Grande Storia sono stati la prima ispirazione di questo romanzo. Poi per via di alcuni studi storici, è nata l’idea di una cura e dalla cura l’idea di una sorellanza. In effetti il romanzo si apre con un grosso problema: Gisella ha bisogno di cure, prima di tutto per il corpo e poi anche per l’anima. Per curarla si portano nella stessa casa dove c’è Gisella la Maestra Olga e un’altra ex allieva, Ortensia: tre età diverse.
Il racconto, il rievocare esperienze vissute nel passato è una tematica centrale ne ‘La cura delle parole’. Per te cosa significa raccontarsi?
Cito Proust, sono le ultime righe del ‘Tempo ritrovato’ ma qualsiasi frase, anche aprendo a caso la Recherche, rappresenta, in quell’opera, quello che per me è l’essenza. Allora, queste ultime parole del “Tempo ritrovato” le sintetizzo così: gli esseri umani sono appollaiati sui viventi trampoli del loro passato. Il passato ci determina ci tiene fermi o ci modifica. Riflettere sul nostro passato ci rende molto più chiaro il presente e la nostra essenza. Negli stessi anni di Proust, due medici lo scrivevano in tutti i modi e questi due medici erano Freud e Jung. Per superare i traumi, più che mai, il passaggio dal passato e dalla parola è essenziale. Nel caso del romanzo la persona che accompagna nel passato, dà parola e invita a dare parola, è una maestra, La Maestra Olga che fu Maestra, sia di Gisella, che di Ortensia. Olga richiama il passato comune per tentare di curare, di aiutare e cerca tutto nel passato per richiamare alla vita. In vero si aiuta anche un pochino con il cibo che, come la parola, può essere veicolo di affetto.
Che potere hanno le parole?
Le parole evocano, creano quello che si dice lo fanno comparire e lo espandono. Il dolce parlare rende dolce la vita, l’orrendo parlare la rende orrenda. Mi pare abbastanza chiaro in questo periodo. La gentilezza è importantissima. Le parole gentili, anche se esprimono un diniego, cambiano tutto e portano tutto nella possibilità della reciprocità e dell’ascolto.
Quando le parole diventano una cura per l’animo umano e in che misura.
Le parole sono alla base dello stare insieme, diventano una cura quando consentono la reciprocità, quando sono dirette a rievocare quello che unisce e descrivono con gentilezza e accoglienza ciò che divide dando comunque una possibilità di dialogo. Nel romanzo le parole che curano sono quelle di quando, anche tra noi, sono introdotte dalla locuzione: Ti ricordi? Ti ricordi di quella volta che…? Ti ricordi di quando…?
Ecco questo crea una comunione salda, un’esperienza comune e il ricordo di quello che è stato insieme, di quello che è stato noi, davvero può riportare alla vita perché, così come è stato, potrà essere ancora. È su questo che fa forza Maestra Olga pur avendo alcuni momenti di cedimento: i nostri momenti insieme, quello che abbiamo già superato, quello che ci ha unite, anche la gioia, ci possono salvare tutte e tre dall’orrore che ci è capitato. Evochiamoli questi momenti, portiamoli in questa casa, manteniamo la tenacia di raccontare e ne usciremo… così pensa Maestra Olga. Se avrà ragione lo scoprirete leggendo La cura delle parole.
Tra le protagoniste del tuo libro si instaura una sorte di sorellanza basata sul rispetto reciproco, la solidarietà e la condivisione. Credi che al giorno d’oggi questo tipo di legame sia utopia o realtà concreta?
Il romanzo vede tre donne in una casa, Maestra Olga, Gisella e Ortensia. Hanno qualcosa di molto importante da fare. Gisella è dolorante nel corpo, traumatizzata nell’anima. Olga e Ortensia si prodigano per tirarla fuori e insieme a lei tirar fuori anche loro stesse dall’orrore che hanno vissuto e che ancora stanno vivendo.
Non c’è altro da fare che coalizzarsi per uscirne. La situazione di Gisella vuole una cura e solo un animo del tutto insensibile può girarsi dall’altra parte. Tali non sono, né Olga, né Ortensia e fanno tutto quello che possono. E lo fanno alleandosi tra loro e con Gisella e cercando dentro sé stesse il meglio. È una situazione di emergenza e le tre donne danno il meglio. Sanno che nessuno le aiuterà e che la salvezza può stare soltanto nella loro alleanza che Olga favorisce in tutti i modi.
In situazioni drammatiche o tragiche si manifesta questa sorellanza o fratellanza. Ma è presente anche in situazioni ‘normali’ quando le relazioni sono basate sulla gentilezza e l’accoglienza. È raro ma c’è.
La cura delle parole testimonia quanto noi donne di fronte alle avversità dimostriamo di avere una forza, una marcia in più Credi che questa sia una prerogativa prettamente femminile?
Certamente sì.
Le donne conoscono cosa vuol dire soffrire in silenzio, prendere decisioni per sé e per i figli e praticarle. Lo conoscono da sempre. Forse è la tenacia la chiave di volta e quella viene per i figli. Ci sono anche uomini in questa storia e sono artigiani capaci. L’ombra di uno di loro forse si allea con l’ombra di una delle protagoniste e ci sono i pastori e i contadini.
La Città di Torino, la tua Città è presente nel tuo romanzo che legame hai con questa meravigliosa città?
Sì, la seconda parte del romanzo è ambientata a Torino e riferimenti a Torino ci sono anche nella prima parte ambientata a Fenestrelle in val Chisone.
Il mio personale rapporto con Torino? A Torino devo tutto. Per prima cosa devo il fatto che mi diede possibilità di lavoro.
Anche a Gisella Torino diede un lavoro. E che lavoro! Gisella arriva nella bottega di artigianato artistico degli zii e le viene insegnato con amore il mestiere. Anche questo è centrale per le donne: avere un lavoro (mi riferisco anche a ’Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf), oltre al fatto che alle donne un lavoro serve per far fronte a sé e ai propri piccoli. È importante trovare chi ti trasmette con amore il lavoro. È davvero orribile non voler trasmettere il proprio lavoro oppure trasmetterlo con cattiveria, questa è una delle ragioni degli infiniti danni che subisce una persona. Il lavoro, per Gisella, come per Olga, è ragione di salvezza.
La grande città, per me che ci sono arrivata cinquanta anni fa dalla provincia, è stata una scoperta meravigliosa e lo sarà anche per il lettore che la conoscerà nel periodo della Belle Époque. Grandi Esposizioni, invenzioni fantasmagoriche, la Stazione di Porta Nuova, il treno, i Grandi magazzini, le strade e i palazzi nuovi, le novità da consumare…ma anche la Torino dei Santi sociali, Don Bosco. Oggi Torino è una Città turistica non ha più quell’aspetto fuligginoso della città industriale, aspetto che a me comunque non dispiaceva. E non mi dispiaceva perché Torino a me piace proprio ed ora di più perché il patrimonio storico è stato valorizzato ed è interessantissimo oltre che bellissimo. Si sa a Torino si sono girati molti film gialli ed anche fiction e il mio romanzo si presta a diventare una fiction…
Torino è stata ed è fonte di ispirazione per scrittori, molti gialli sono ambientati in questa città e Torino è stata l’ambientazione del libro che ebbe successo proprio negli anni di Olga, Gisella ed Ortensia, il libro ’Cuore’ di Edmondo De Amicis e chi viene a Torino, se vuole, può andare a vedere la scuola della famosa maestrina dalla penna rossa…
Progetti Futuri
Il futuro è di Ortensia che è la più giovane ed è giovane. È lei che mi parla. Chissà potrebbe essere la prosecuzione, altri quaranta anni…Chissà se riuscirò? Ma c’è altro. È qualcosa per cui ci si muove e che dipende da un libro classico per me importantissimo e forse c’è qualcosa per la mia città. In ogni caso… mi piacciono le graphic novel, dovrei trovare un illustratrice/tore che vuole imbarcarsi con me, io sono pronta…
Per ora, Olga vi manda un saluto e un incoraggiamento, Gisella vi regala una delle sue matite e Ortensia vi ha preparato i biscotti savoiardi.L’articolo Il racconto che cura l’anima. Intervista a Maurizia Girlando è già apparso su Il Corriere Nazionale.